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La scomparsa di Lady Frances Carfax

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Avventure di Sherlock Holmes
 · 13 Aug 2017

«Ma perché proprio turchi?» chiese Sherlock Holmes con lo sguardo puntato sui miei stivali.
Io me ne stavo adagiato su una poltrona di vimini, in quel momento, e pensai che i miei piedi protesi in avanti avessero attirato la sua attenzione.
«Sono inglesi» risposi, piuttosto sorpreso. «Li ho comprati da Latimer, in Oxford Street.»
Holmes sorrise con una cert’aria di sufficienza.
«Io parlo dei bagni» disse. «Dei bagni! Perché frequentare i bagni turchi che costano un occhio della testa e indeboliscono, invece di accontentarsi del rinvigorente bagno casalingo?»
«Perché in questi ultimi giorni mi sono sentito vecchio e pieno di reumatismi» replicai. «In medicina consideriamo il bagno turco un alterativo: in parole povere, un purificatore dell’organismo, un nuovo punto di partenza. E ora, Holmes, dovete essere voi a spiegarmi qualcosa: in che modo avete messo in rapporto i miei stivali con il bagno turco? A quel che sembra, non ho una mente sufficientemente analitica per arrivarci da solo.»
«Il filo del ragionamento non è complicato» ribatté Holmes con una maliziosa strizzatina d’occhio «e mi ha permesso di giungere anche a un’altra deduzione: stamattina siete stato in carrozza in compagnia di qualcuno.»
Confesso che ero piuttosto stizzito.
«E se vi spiegaste meglio?»
«Ma certo, Watson, ma certo! Dunque, andiamo per ordine e chiariamo il
particolare della carrozza. La manica e la spalla sinistra della vostra giacca sono un po’ gualcite e impolverate. Se vi foste seduto al centro del sedile, questo non sarebbe successo ed è evidente che se vi siete rincantucciato in un angolo lo avete fatto perché con voi c’era qualcuno.»
«Fin qui tutto bene: vi seguo.»
«È addirittura banale, non vi sembra?»
«Sì. Ma il rapporto tra le scarpe e il bagno?»
«È altrettanto semplice. Voi per abitudine allacciate gli stivali in un certo modo;
oggi, invece, vedo che sono allacciati con un elaborato doppio nodo del tutto inusuale. Dunque, dopo essere uscito di casa ve li siete tolti; chi ve li ha allacciati di nuovo? Un calzolaio o il garzone del bagno. Siccome gli stivali sono quasi nuovi il calzolaio è da scartare e così resta solo il bagno turco. Ovvio, non vi pare? Invece non è per niente ovvio che questa chiacchierata sui bagni turchi mi serva per farvi una proposta.»
«E sarebbe?» chiesi, incuriosito.
«Poco fa mi avete detto di esserci andato perché vi serviva un nuovo punto di partenza, un rinnovamento, insomma, sia pure organico. Bene, io ve ne offro uno completo. Che ne direste di un viaggio a Losanna in prima classe con tutte le spese lautamente pagate?»
«Direi che è splendido. Ma lo scopo qual è?»
Holmes si allungò sulla sua poltrona e da una tasca prese il suo taccuino.
«Una delle categorie umane più a rischio» esordì «è quella delle donne ricche,
senza amici e vagabonde. Una donna così è la più inoffensiva e spesso la più utile delle creature, ma costituisce per molti un incentivo al crimine quasi inevitabile. È priva di aiuti, ha denaro a sufficienza per spostarsi da un paese all’altro, da un albergo all’altro; spesso si perdono le sue tracce in un oscuro labirinto di pensioni e pensioncine. È un pulcino indifeso in un mondo pullulante di volpi e quando viene divorata raramente qualcuno si accorge della sua scomparsa. E temo che qualcosa del genere sia accaduto a Lady Frances Carfax.»
Ora che Holmes era sceso dall’astratto al concreto, mi sentivo più a mio agio. Il mio amico consultò il taccuino e riprese:
«Lady Frances è la sola superstite diretta del defunto conte di Rufton. Come forse ricorderete, il patrimonio di famiglia andò ai discendenti maschi, alla signora rimase poco denaro e una collezione di antichi, preziosi gioielli spagnoli in argento e diamanti dal taglio particolare ai quali era molto attaccata, al punto di rifiutare di darli in custodia a una banca e di portarli sempre con sé. Una figura piuttosto patetica, questa Lady Frances è molto bella, anche se non più giovanissima, peccato che la sorte le sia stata avversa, privandola degli agi e del genere di vita a cui era abituata.»
«Insomma, che ne è stato di lei?»
«E chi lo sa! È viva o morta? Questo è l’enigma da risolvere. È una persona abitudinaria e per quattro anni ha sempre scritto, ogni due settimane, alla signorina Dobney, la sua vecchia governante, che da tempo si è ritirata a vita privata e abita a Camberwell. È stata proprio questa Dobney a consultarmi, preoccupata perché da oltre cinque settimane non aveva ricevuto una riga. L’ultima lettera veniva dall’Hotel National di Losanna; sembra che se ne sia andata di là senza dare alcun indirizzo. La sua famiglia è in ansia e siccome sono ricchissimi nessuna somma è troppo alta per loro purché si chiarisca questo mistero.»
«La signorina Dobney è l’unica fonte di informazioni disponibile? Possibile che Lady Carfax non corrispondesse con qualche altra persona?»
«Un corrispondente attendibile c’è ma non è una persona: è la banca, Watson. Anche le donne sole debbono pur vivere e i loro libretti di conto corrente sono come diari condensati. Lady Carfax si serve della banca Silvester. Ho dato un’occhiata al suo conto e ho visto che con il penultimo assegno ha pagato il conto dell’albergo a Losanna. Ma siccome la cifra era molto consistente è probabile che le sia rimasto in mano molto contante. Da allora è stato staccato solo un altro assegno.»
«A nome di chi e dove?»
«A nome della signorina Marie Devine, ma riguardo al luogo di emissione non c’è la minima indicazione. È stato incassato al Credit Lyonnais di Montpellier meno di tre settimane orsono e la somma era di cinquanta sterline.»
«Chi è questa Marie Devine?»
«Non è stato difficile scoprirlo: era la cameriera di Lady Frances Carfax. Non ho ancora accertato perché le sia stata pagata quella cifra ma sono sicuro che le vostre ricerche, amico mio, chiariranno anche questo.»
«Le mie ricerche?»
«È questo lo scopo del viaggio di “rinnovamento” a Losanna che vi ho proposto. Sapete bene che io non posso lasciare Londra mentre il vecchio Abrahams vive nel terrore di essere assassinato. Inoltre, per ragioni mie personali preferisco non uscire dall’Inghilterra. A Scotland Yard si sentono abbandonati senza di me e i criminali cercano di approfittarne. Partite dunque, mio caro Watson, e ricordate che, se vi trovate in imbarazzo, potete sempre telegrafarmi.»
Due giorni più tardi giungevo all’Hotel National di Losanna dove fui accolto con la massima cortesia dal direttore, il signor Moser. Da lui seppi che Lady Frances si era fermata lì per diverse settimane e che aveva riscosso le simpatie generali; era sulla quarantina, ancora molto attraente e in gioventù doveva esser stata un’autentica bellezza. Il signor Moser non sapeva niente dei suoi famosi gioielli, ma la servitù aveva notato che nella sua camera da letto c’era un pesante baule sempre chiuso. Marie Devine, la cameriera, era popolare quanto la padrona; si era fidanzata da poco con uno dei capocamerieri dell’albergo e il suo indirizzo era: rue de Trajan 11, Montpellier.
Annotai in fretta tutte queste notizie e con una punta di orgoglio pensai che neanche Holmes avrebbe potuto fare meglio.
Soltanto un punto restava ancora nell’ombra: i motivi dell’improvvisa partenza di Lady Carfax. Sembrava felice, a Losanna, e intenzionata a trascorrere tutta la stagione nel suo lussuoso appartamento che si affacciava sul lago. Invece se n’era andata con il preavviso di un solo giorno e questo l’aveva costretta a pagare inutilmente per tutta la settimana. Solo Jules Vibart, il fidanzato della cameriera, aveva qualche idea in proposito: metteva in relazione l’inattesa partenza della signora con la visita all’albergo, avvenuta un paio di giorni prima, di un uomo alto, bruno e barbuto.
«Un selvaggio, signore... proprio un selvaggio» lo definì il giovanotto.
L’uomo aveva preso in affitto un piccolo appartamento in qualche ignoto punto della città ed era stato visto discutere animatamente con Lady Frances sul lungolago. Poi era venuto in albergo, ma lei si era rifiutata di riceverlo. Era sicuramente inglese ma nessuno ne conosceva il nome. La signora se n’era andata subito dopo. Sia Jules che la fidanzata pensavano che la visita e la partenza fossero strettamente collegate.
Su un punto soltanto Jules non volle darmi chiarimenti: la ragione per cui Marie non aveva seguito la padrona. Se volevo sapere qualcosa dovevo andare a Montpellier e chiedere a lei.
Così si chiuse il primo capitolo della mia inchiesta. Il secondo fu dedicato alla ricerca del luogo in cui si era recata Lady Carfax dopo aver lasciato Losanna. Mi trovai davanti a un segreto totale, e questo mi convinse del tutto che la signora in questione se n’era andata con l’intenzione di sbarazzarsi di eventuali inseguitori. Continuai a indagare e finalmente seppi dal direttore dell’agenzia di viaggi cittadina che sia Lady Frances che il suo bagaglio avevano per meta Baden, la nota stazione termale renana e che non vi erano giunti direttamente ma con un lungo giro vizioso.
Spedii a Holmes un resoconto dettagliato delle mie azioni e dopo aver ricevuto in risposta un telegramma di rallegramenti piuttosto ironico, partii per Baden. Là la traccia non era difficile da seguire. Lady Frances si era fermata per una quindicina di giorni all’Englischer Hof e durante il soggiorno aveva conosciuto un certo dottor
Shlessinger, un missionario reduce dal Sud America e sua moglie. Come la maggior parte delle donne sole, Lady Frances trovava consolazione e sicurezza nella religione e la forte personalità del missionario, la sua spiritualità, il fatto che fosse convalescente da una malattia contratta durante il suo apostolato avevano prodotto su di lei una grande impressione, e si era prodigata affiancando la moglie nell’assistere il convalescente.
Il dottor Shlessinger trascorreva le sue giornate su una sedia a sdraio nella veranda, in compagnia delle due donne, e lavorava a una carta topografica della Terra Santa con speciale riferimento al regno dei Medianiti su cui stava scrivendo una monografia. Non appena la sua salute era migliorata, aveva fatto ritorno a Londra con la moglie e Lady Frances aveva seguito la coppia. Tutto questo era accaduto tre settimane prima del mio arrivo e da allora il direttore non aveva più avuto notizie dei tre. Marie, la cameriera, era partita qualche giorno prima, in lacrime, dopo aver informato le compagne che lasciava il servizio per sempre. A pagare il conto per tutti aveva provveduto il dottor Shlessinger, prima di andarsene.
«A proposito» mi confidò il direttore alla fine della chiacchierata, «voi, signore, non siete il solo a interessarvi a Lady Carfax. Giusto una settimana fa è venuto qui un uomo con lo stesso incarico.»
«Ha detto il suo nome?» chiesi.
«No, ma era inglese di sicuro: un tipo piuttosto strano, direi.»
«Un... un selvaggio?» suggerii, ricordando la descrizione del fidanzato di Marie. «Be’, direi che è proprio la parola giusta. Un tizio di corporatura pesante, barbuto,
abbronzato, più adatto a frequentare locande di campagna piuttosto che alberghi di lusso, con un temperamento duro, violento; insomma, una di quelle persone da cui è meglio girare al largo.»
Il mistero cominciava già a chiarirsi, così come le cose diventano più distinte quando la nebbia si dirada. Una gentile e pia signora era inseguita e perseguitata da un losco, inesorabile individuo ovunque andasse. E doveva temerlo molto, altrimenti non sarebbe fuggita così frettolosamente da Losanna. L’uomo misterioso però la tallonava e presto o tardi l’avrebbe raggiunta. Che ci fosse già riuscito? Era questo il segreto del suo prolungato silenzio? Possibile che le brave persone con le quali aveva ripreso il viaggio non fossero in grado di proteggerla dalla violenza o dal ricatto? Quale orribile scopo, quale oscuro disegno si nascondevano dietro quell’accanito inseguimento? Era compito mio risolvere il problema.
Scrissi di nuovo a Holmes mettendo in rilievo la rapidità e l’acutezza con cui ero giunto a capo della vicenda. Mi rispose con un telegramma dove mi chiedeva una descrizione dell’orecchio sinistro del dottor Shlessinger. Il senso dell’umorismo del mio amico è piuttosto strano, a volte offensivo, così non detti importanza a quella battuta a dir poco inopportuna anche perché, prima che il suo messaggio mi raggiungesse, io ero già a Montpellier alla ricerca di Marie, la cameriera.
Non ebbi difficoltà a trovare la ragazza e a farmi raccontare da lei tutto quello che sapeva. Era una creatura devota e aveva lasciato la padrona solo perché pensava di affidarla in buone mani e, inoltre, il suo prossimo matrimonio avrebbe reso inevitabile la separazione. Aggiunse, piuttosto angosciata, che negli ultimi giorni di permanenza a Baden, Lady Frances si era dimostrata piuttosto irritabile nei suoi
confronti; una volta l’aveva addirittura interrogata aspramente, come se sospettasse della sua lealtà e questo in un certo senso le aveva reso meno doloroso il distacco. Lady Frances le aveva dato cinquanta sterline come dono di nozze.
Proprio come me, Marie nutriva una profonda diffidenza per lo straniero che aveva costretto la sua padrona ad abbandonare Losanna. Un giorno lo aveva visto lei stessa afferrare violentemente la signora per i polsi, sul lungolago. Quell’uomo aveva un aspetto terribile, selvaggio, e Marie pensava che per paura di lui la signora si fosse unita ai coniugi Shlessinger che tornavano a Londra.
«Con me non ha mai fatto parola di niente» concluse la ragazza, «io però, da tanti piccoli indizi avevo capito che era in preda a una grande tensione nervosa.»
Stavo per porle qualche altra domanda quando d’un tratto Marie balzò in piedi, con un’espressione di sorpresa e di paura sul viso.
«Guardate là, signore!» esclamò. «Ancora quello scellerato! L’uomo di cui stavo parlando!»
Attraverso la finestra aperta del salotto vidi un uomo bruno, enorme, con una barba nera e arruffata che procedeva lentamente in mezzo alla strada osservando con attenzione i numeri delle case. Era evidente che, come me, stava cercando la cameriera. Agendo sotto l’impulso del momento mi precipitai fuori e lo avvicinai.
«Voi siete inglese» proclamai.
«E allora?» replicò lui con tono minaccioso.
«Posso chiedervi come vi chiamate?»
«No, non potete» fu la secca risposta.
La situazione si faceva imbarazzante. Optai per un attacco diretto.
«Signore, dov’è Lady Frances Carfax?»
L’uomo mi fissò, esterrefatto.
«Che cosa ne avete fatto di lei? Perché la inseguite ovunque? Esigo una risposta»
incalzai.
Lo sconosciuto lanciò un ruggito di rabbia e mi piombò addosso con un balzo
felino. Nelle mischie io in genere me la cavo con onore, ma quell’uomo aveva una stretta d’acciaio e la furia di un demonio. Le sue mani mi serravano la gola ed ero sul punto di svenire quando un operaio barbuto con un camiciotto azzurro si proiettò fuori da una vicina osteria con un randello in pugno e vibrò un gran colpo all’avambraccio del mio avversario che dovette abbandonare la presa e che dopo esser rimasto un attimo immobile, schiumando rabbia, incerto se tornare o no all’attacco, alla fine si allontanò, dirigendosi a grandi passi verso la casetta di Marie. Mi volsi per ringraziare il mio salvatore che era rimasto lì accanto, in mezzo alla strada; lui mi prevenne e una voce ben nota esclamò:
«Bene, Watson, avete combinato un bel guazzabuglio. Sarà meglio che torniate a Londra con me con il treno espresso della notte.»
Un’ora più tardi, ripresi gli abiti e l’atteggiamento consueti, Holmes era seduto nel salottino privato del mio albergo e mi spiegava il perché di quella provvidenziale apparizione: un momento di stasi nei suoi affari gli aveva permesso di lasciare Londra e così mi aveva preceduto a Montpellier; travestito da operaio, si era seduto all’osteria, aspettandomi davanti alla casa di Marie.
«Consistente e ben articolata la vostra investigazione, Watson» mi disse. «Di tutti gli errori che potevate fare, non ne avete omesso neanche uno, con il risultato di mettere tutti in allarme senza scoprire niente.»
«Forse neanche voi avreste potuto fare di meglio» ribattei, piccato.
«Ah, no, mio caro. Io ho fatto di meglio, eccome. C’è qui l’onorevole Philip Green, lui pure ospite del vostro stesso albergo; chissà che non ci aiuti a trovare un punto di partenza per una ricerca più fortunata.»
Così dicendo, Holmes indicò il biglietto da visita che un cameriere ci aveva portato su un vassoio d’argento. Subito dopo ecco arrivare quel bruto con la barba che mi aveva assalito per strada. Nel vedermi sussultò.
«Che succede, signor Holmes?» chiese. «Ho ricevuto il vostro invito ed eccomi qui. Ma quest’uomo, che parte ha nella faccenda?»
«È il mio vecchio amico e socio dottor Watson che ci aiuta nelle ricerche.»
Lo sconosciuto che ora non era più tale mi porse una mano enorme e molto abbronzata, mormorando qualche parola di scusa.
«Spero di non avervi fatto male, signore. Quando mi son sentito accusare di aver nuociuto a Lady Carfax sono andato su tutte le furie. A dire il vero, sono fuori di me in questi giorni, ho i nervi a pezzi, questa situazione è intollerabile. Quel che vorrei sapere per prima cosa, signor Holmes è come abbiate scoperto la mia esistenza.»
«Sono in contatto con la signorina Dobney, la vecchia governante di Lady Frances.»
«La vecchia Susan Dobney con la cuffietta sempre di sghimbescio! La ricordo bene.»
«Anche Susan si ricorda di voi. Vi siete incontrati prima... prima che trovaste più salutare partire per il Sud Africa.»
«Vedo che conoscete questa storia in ogni particolare, signor Holmes, perciò non è il caso di nascondervi niente. Vi giuro che mai è esistito al mondo un uomo che abbia amato una donna di un amore più disinteressato di quello che nutro per Frances. In gioventù ero uno scavezzacollo, lo ammetto, ma non certo peggiore di tanti miei coetanei. E lei aveva un animo puro come la neve, non ammetteva neppure l’ombra di una grossolanità; fu per questo che quando apprese certe cose sul mio conto non volle più saperne di me. Eppure mi amava, anche se può sembrare strano... mi amava a tal punto da rifiutare il matrimonio con altri, a tal punto da restare sola in tutti questi lunghi anni. Anni in cui io mi sono arricchito, a Barbeton, e maturato. Pensai che forse sarei riuscito a rintracciarla e intenerirla. La trovai a Losanna e feci il possibile per persuaderla, visto che era ancora nubile. Lei si commosse, credo, ma ha una volontà indomabile e così, quando andai a trovarla la seconda volta aveva già lasciato la città. Seguii le sue tracce fino a Baden; dopo qualche tempo seppi che la sua cameriera si era trasferita a Montpellier, pensai di ottenere da lei qualche notizia concreta. Io ho avuto una vita dura, sono un uomo rozzo e quando il dottor Watson mi aggredì con quelle domande, per un momento persi il mio autocontrollo. E ora, per amore di Dio, ditemi, che cosa ne è stato di Lady Frances?»
«Anche noi la cerchiamo» rispose Holmes con gravità. «Qual è il vostro indirizzo di Londra, signor Green?»
«Mi troverete al Langham Hotel.»
«Allora mi permetto di raccomandarvi qualcosa: tornate immediatamente a Londra e tenetevi a mia disposizione per ogni evenienza. Non intendo darvi false speranze, ma vi prometto che sarà fatto il possibile per la salvezza di Lady Frances. Al momento non posso dirvi di più. Vi lascio questo biglietto da visita con il nostro indirizzo, in modo che possiate mantenervi in contatto con noi.» Poi Holmes si rivolse a me: «E ora, Watson, andate a fare la valigia; io telegraferò alla nostra governante, la signora Hudson, perché accolga nel modo migliore due poveri viaggiatori stanchi e affamati che arriveranno a destinazione domattina alle sette e mezzo.»
Quando rientrammo nel nostro appartamento in Baker Street c’era un telegramma ad aspettarci. Holmes lo lesse, soffocò un’esclamazione di sorpresa e me lo porse.
C’erano due parole soltanto: «Tagliato o strappato». Era stato spedito da Baden. «Che significa?» chiesi.
«Una quantità di cose. Ricordate la mia domanda apparentemente senza senso
riguardo all’orecchio sinistro del dottor Shlessinger, il missionario, domanda a cui non deste risposta?»
«Avevo già lasciato Baden e non potei informarmi.»
«Esatto. Per questo spedii un altro telegramma con la stessa domanda al direttore dell’Englischer Hof. Lui rispose.»
«E che cosa avete scoperto?»
«Che ci troviamo alle prese con un individuo eccezionalmente astuto e pericoloso. Il reverendo dottor Shlessinger, missionario reduce dal Sud America altri non è che il “Venerabile” Peters, una delle più grandi canaglie d’Australia e sì che ne prosperano in quantità in quella giovane nazione! Si è specializzato nell’abbindolare donne sole speculando sulla loro religiosità. Colei che si fa passare per sua moglie e che è la sua degna compagna, si chiama Fraser ed è inglese. La tattica caratteristica da lui usata ha suscitato in me forti sospetti confermati adesso da questo telegramma che ne descrive una peculiarità fisica: l’orecchio sinistro deformato da un brutto morso durante una rissa in una taverna ad Adelaide, nell’89. La povera Lady Frances è caduta nelle mani di una coppia diabolica che non si arresterà di fronte a nulla. C’è addirittura la probabilità che a quest’ora sia già morta; nel migliore dei casi è sicuramente imprigionata da qualche parte, nell’impossibilità di scrivere a miss Dobney o a qualche altro amico. Può anche darsi che non abbia mai raggiunto Londra o che vi sia passata soltanto, ma la prima ipotesi è improbabile, con il sistema di registrazione in atto nella polizia non è facile agli stranieri imbastire trucchi e la seconda lo è altrettanto: non esiste un luogo migliore di Londra dove tenere segregata una persona. Il mio istinto mi dice che lei si trova qui, ma siccome per ora non abbiamo i mezzi per rintracciarla, non ci resta che mangiare con calma il nostro pranzo e armarci di pazienza. Più tardi, in serata, uscirò per fare un giretto e raggiungerò Scotland Yard per scambiare due parole con il mio amico Lestrade.»
Ma né la polizia ufficiale né la piccola ed efficace organizzazione di Holmes furono sufficienti per chiarire il mistero. Nell’affollatissima Londra i tre che cercavamo erano introvabili come se non fossero mai esistiti. Vennero pubblicati annunci sui giornali, invano, seguite delle tracce che non portarono a nulla, setacciati
tutti i locali malfamati che Shlessinger poteva frequentare, senza risultati. Furono sorvegliati i criminali con i quali poteva tentare di mettersi in contatto, ma quelli si tenevano alla larga da lui.
Finalmente, dopo una settimana di sforzi inutili, un lampo di luce squarciò le tenebre.
Al banco dei pegni di Bevington, in Westminster Road, era stato portato un pendente in argento e brillanti di antica oreficeria spagnola. L’uomo che lo aveva impegnato non portava barba e aveva l’aspetto di un ecclesiastico, e fu facile scoprire che aveva dato nome e indirizzo falsi. Lo strozzino non aveva notato la deformazione dell’orecchio sinistro, ma la descrizione corrispondeva senza alcun dubbio a Shlessinger.
Green, il nostro barbuto amico, era venuto già due volte a chiedere notizie; la terza giunse dopo appena un’ora che avevamo saputo i fatti del banco dei pegni. Era dimagrito moltissimo e i vestiti gli ciondolavano addosso.
«Se almeno mi faceste fare qualcosa!» si lamentava sempre. Questa volta Holmes poteva accontentarlo.
«Ha cominciato a impegnare i gioielli» annunciò. «Forse presto potremo prendere quella canaglia.»
«Ma questo non significherà che è accaduto qualcosa di brutto a Lady Frances?» Holmes scosse la testa con aria grave.
«Supponendo che l’abbiano tenuta prigioniera fino a oggi, è chiaro che non
possono lasciarla libera senza rovinarsi con le proprie mani. Dobbiamo comunque prepararci al peggio.»
«E io, che cosa posso fare?»
«Quella gente vi conosce di vista, per caso?»
«No.»
«Può darsi che in futuro Shlessinger vada da qualche altro strozzino e, in questo
caso, dovremo ricominciare tutto daccapo. Però Bevington gli ha fatto un buon prezzo e nessuna domanda, quindi è probabile che ritorni da lui. Vi darò un biglietto per quell’uomo, chiedendogli di lasciarvi aspettare dentro il negozio. Se il furfante arriva, seguitelo fino alla sua tana, ma niente imprudenze e, soprattutto, niente violenza. Promettetemi sul vostro onore, Green, che non farete un passo senza che io lo sappia.»
Per due giorni Philip Green (che era figlio del famoso ammiraglio comandante la flotta del mare d’Azov durante la guerra di Crimea) non ci portò nessuna notizia. Il terzo giorno, verso il tramonto, irruppe nel nostro salotto pallido e tremante d’emozione.
«Lo abbiamo in mano! Lo abbiamo in mano!» gridò.
Era molto agitato. Holmes riuscì a calmarlo e lo invitò a sedersi.
«E ora» disse «raccontateci tutto con ordine.»
«Un’ora fa è arrivato qualcuno: non lui ma la moglie questa volta e aveva in mano
un pendente gemello dell’altro. È una donna alta, di colorito pallido, con due occhi da furetto.»
«È lei» confermò Holmes.
«Quando è uscita dal negozio l’ho seguita. Ha percorso Kennington Road con me alle calcagna e a un certo punto è entrata in un negozio. Signor Holmes, era il negozio di un impresario di pompe funebri!»
Il mio compagno sussultò.
«Ah, davvero?» chiese con una voce vibrante che, a dispetto dell’espressione contenuta del viso, rivelava la sua tensione.
«Si è messa a parlare con una commessa. Sono entrato anch’io e l’ho sentita dire qualcosa come “... è tardi.” La donna si è scusata. “Mi dispiace, c’è stato un ritardo dovuto al fatto che era di dimensioni superiori al normale.” Poi le due donne hanno notato la mia presenza e non hanno più aperto bocca. Io ho fatto un paio di domande a casaccio e me ne sono venuto via immediatamente.»
«Vi siete comportato magnificamente. E poi?»
«La donna è uscita, ma io mi ero nascosto in un portone. Doveva essersi insospettita perché si è guardata intorno a lungo. Poi ha chiamato una carrozza e ci è salita; per fortuna ne stava passando un’altra e così ho potuto continuare l’inseguimento. È scesa a Brixton in Poultney Square al numero 36. Ho detto al cocchiere di proseguire fino all’angolo della piazza, sono sceso e ho osservato la casa a lungo.»
«Avete visto qualcuno?»
«Le finestre erano tutte buie, salvo una, al piano inferiore. L’imposta però era chiusa e mi ha impedito di vedere l’interno. Ero già lì da qualche minuto, chiedendomi se e in che modo agire, quando è arrivato un furgone. Ne sono scesi due uomini che hanno trasportato qualcosa fino alle scale dell’ingresso. Era un bara, signor Holmes.»
«Ah!»
«Per un attimo ho pensato di intervenire. La porta era stata aperta per lasciar passare i due uomini e il loro carico. Aperta dalla donna, che deve avermi visto e riconosciuto, mentre ero lì a poca distanza. L’ho vista trasalire e chiudere in fretta la porta. Solo allora mi sono ricordato della promessa che vi avevo fatto e sono corso qui.»
«Un lavoro eccellente» disse Holmes, scarabocchiando qualche parola su un foglio di carta. «Non possiamo agire legalmente senza un mandato e vi sarei infinitamente grato se andaste alla polizia con questo mio messaggio per ottenerne uno. Può darsi che facciano qualche difficoltà, ma penso che la vendita dei gioielli sia sufficiente a convincerli. Lestrade penserà ai dettagli.»
«Ma nel frattempo potrebbero uccidere Frances. Che significato avrebbe altrimenti quella bara? Per chi possono averla chiesta se non per lei?»
«Provvederemo a tutto, signor Green. Non perderemo un solo istante, lasciate fare a noi.»
Non appena Green fu uscito precipitosamente, Holmes mi disse:
«Ora, Watson, il nostro amico si metterà in contatto con le forze regolari; noi, come al solito, siamo degli irregolari e dobbiamo scegliere una linea di azione personale. La situazione mi sembra così disperata da autorizzare misure estreme. Dobbiamo raggiungere Poultney Square senza perdere un istante.»
«Vediamo di ricostruire i fatti» riprese qualche minuto dopo mentre su una carrozza oltrepassavamo al galoppo il Parlamento e il ponte di Westminster. «Quelle canaglie hanno costretto la povera Lady Carfax a seguirli a Londra dopo averla separata dalla sua fedele cameriera. Se ha scritto delle lettere, le hanno intercettate; attraverso dei complici hanno preso in affitto una casa ammobiliata e vi hanno tenuto prigioniera quell’infelice dopo essersi impossessati dei preziosi gioielli che fin dall’inizio costituivano il loro obiettivo. Hanno già cominciato a disfarsene e devono sentirsi al sicuro perché non hanno alcuna ragione di credere che qualcuno abbia preso a cuore il destino della loro vittima. Non la lasceranno mai andare perché in questo caso lei li denuncerebbe, ma non possono neanche tenerla prigioniera in eterno. Perciò l’unica via d’uscita che gli resta è l’assassinio.»
«Sì, certo» ammisi.
«Ora seguiamo il filo di un ragionamento diverso e incominciamo dalla bara, invece che da Lady Carfax. La bara prova, al di là di ogni dubbio, temo, che lei è morta e che le faranno un funerale secondo tutte le regole e con tanto di certificato medico. Se fosse stata assassinata, l’avrebbero certo sepolta segretamente in qualche angolo del giardino dietro la casa. Invece ci troviamo di fronte a un procedimento normale, regolare. Che cosa significa tutto questo? Di sicuro che è stata uccisa in modo da ingannare il medico simulando una morte naturale, forse con un veleno. Però è strano che abbiano permesso a un dottore di avvicinarla a meno che non fosse un complice, e questo mi sembra poco credibile.»
«Potrebbero però aver falsificato il certificato di morte» azzardai poco convinto.
«È pericoloso, Watson, molto pericoloso. No, non credo che lo abbiano fatto. Fermate, cocchiere, fermate! Quello dev’essere il negozio dell’impresario di pompe funebri, perché abbiamo appena oltrepassato quello dello strozzino. Volete entrare, Watson? Il vostro aspetto ispira fiducia. Chiedete a che ora si svolgeranno i funerali a Poultney Square, domani.»
La donna che abbordai nel negozio non ebbe difficoltà a rivelarmi che il servizio funebre era fissato per le otto del mattino. Corsi subito a riferirlo a Holmes e lui annuì, pensoso.
«Come vedete, Watson, non ci sono misteri, tutto è chiaro, tutto alla luce del sole. In qualche modo hanno adempiuto a tutte le formalità legali e pensano di essere al sicuro. Bene, non ci resta che un attacco diretto: siete armato?»
«Ho il mio bastone!»
«Bene, bene, ce la caveremo con quello. Non possiamo aspettare l’arrivo della polizia né rispettare le leggi in un momento come questo. Affronteremo il fato fianco a fianco come abbiamo già fatto tante volte.»
Congedato il cocchiere, Holmes bussò con violenza alla porta della grande casa scura che sorgeva al centro di Poultney Square. Ci venne aperto immediatamente e un’alta figura femminile si stagliò nella penombra dell’atrio.
«Che volete?» chiese in tono aspro fissandoci.
«Vogliamo parlare con il dottor Shlessinger» disse Holmes.
«Non c’è nessuno con quel nome qui.»
La donna cercò di chiuderci la porta in faccia, ma Holmes glielo impedì,
rapidissimo, infilando il piede tra i battenti.
«Allora» insisté in tono perentorio, «voglio vedere la persona che abita in questa casa, qualunque sia il suo nome.»
La donna esitò, poi cedette.
«Va bene, entrate. Mio marito non ha paura di affrontare nessuno.»
Richiuse la porta alle nostre spalle e ci introdusse in un salotto che si apriva sulla
destra dell’atrio; poi, dopo aver acceso la lampada a gas uscì dicendoci:
«Il signor Peters sarà da voi tra un istante.»
Non ci ingannava. Avevamo appena avuto il tempo di dare un’occhiata alla stanza
polverosa e divorata dai tarli che la porta si aprì di nuovo e un uomo massiccio, calvo e senza barba entrò nella stanza con un passo leggero. Aveva il viso arrossato, le guance cascanti e una certa aria di superficiale benevolenza smentita dalla bocca sottile, crudele.
«Qui dev’esserci uno sbaglio, signori» esordì con voce untuosa, dolciastra. «Credo proprio che abbiate sbagliato indirizzo. Vi conviene cercare altrove, nei dintorni...»
«Non abbiamo tempo da perdere, signore» lo interruppe con fermezza il mio compagno. «Voi siete Henry Peters, di Adelaide, conosciuto anche come il reverendo dottor Shlessinger. Ne sono certo come di chiamarmi Sherlock Holmes.»
Peters, d’ora in avanti userò questo nome, sussultò e lanciò un’occhiataccia al suo formidabile avversario.
«Il vostro nome non mi fa paura, signor Holmes» replicò con freddezza. «Quando un uomo ha la coscienza a posto, niente può sconcertarlo. Che cosa vi ha condotto in casa mia?»
«Voglio sapere che ne è stato di Lady Frances Carfax che avete portato via con voi da Baden.»
«Farebbe piacere anche a me conoscere la sorte della signora» replicò Peters freddamente. «Ho un conto in sospeso con lei di circa cento sterline e, in pegno di questo debito, solo un paio di pendenti senza valore che nessun commerciante prenderebbe in considerazione. Lei si è unita a me e a mia moglie a Baden, e non ho difficoltà ad ammettere che là avevo assunto un cognome diverso; e non ci ha più mollati fino all’arrivo a Londra. Sono stato io a pagare il suo conto dell’albergo e il biglietto ferroviario. Non appena giunti qui, ci ha piantati in asso e, come già vi ho detto, ci ha lasciato, a saldo di tutto quella chincaglieria fuori moda. Se riuscite a trovarla, ve ne sarò molto grato, signor Holmes.»
«È proprio questa la mia intenzione» rispose Holmes. «E frugherò questa casa finché non l’avrò trovata.»
«Avete un mandato di perquisizione?»
Holmes estrasse di tasca una rivoltella.
«Mi basta questa, tanto per cominciare.»
«Oh, vi comportate alla stregua di un volgare scassinatore, signore!»
«Definitemi pure così» ribatté allegramente Holmes. «E sappiate che anche il mio
compagno è una pericolosa canaglia. Insieme perquisiremo la casa dalle fondamenta.»
Il nostro avversario corse ad aprire la porta. «Corri a cercare un poliziotto, Annie» gridò.
Dal corridoio pervenne un gran fruscio di gonne femminili, poi la porta d’ingresso venne aperta e richiusa.
«Non abbiamo tempo da perdere, Peters» annunciò Holmes in tono perentorio. «Se cercate di fermarci verrete perlomeno ferito. Dunque, dov’è la bara che è stata portata qui poco fa?»
«Che cosa volete farne? C’è già un cadavere dentro.» «Voglio vederlo.»
«Non con la mia autorizzazione.»
«Allora ne faremo a meno!»
Con un movimento fulmineo Holmes spinse da parte Peters e passò nell’atrio. Proprio davanti a noi c’era una porta socchiusa. Entrammo. Era una sala da pranzo e sul tavolo, sotto il lampadario acceso a metà c’era la bara. Holmes alzò la fiammella del gas e sollevò il coperchio. Sprofondata all’interno c’era una figura emaciata; la luce intensa illuminò in pieno un viso invecchiato, appassito. Né i maltrattamenti, né la fame né la malattia potevano aver logorato in quel modo l’ancor bella Lady Frances. Sul viso di Holmes comparve un’espressione di sollievo.
«Grazie a Dio!» mormorò. «Non è lei!»
«Questa volta avete commesso un errore grossolano, signor Sherlock Holmes» disse Peters che ci aveva seguiti nella stanza.
«Chi è questa donna morta?»
«Ecco, se proprio volete saperlo, è una vecchia bambinaia di mia moglie, Rose Spencer, ritrovata nell’ospizio per anziani di Brixton. L’abbiamo trasferita qui, abbiamo chiamato il dottor Horsom che abita al numero 13 di Fairbank Villas, non dimenticate questo indirizzo, vi prego, e l’abbiamo curata cristianamente come era nostro dovere. È morta tre giorni dopo il suo arrivo; il certificato parla di deperimento senile, ma questa è solo l’opinione di un dottore qualsiasi e voi naturalmente ne saprete di più.
Abbiamo commissionato il suo funerale all’impresa di pompe funebri di Kennington Road: avrà luogo domattina alle otto. Ci trovate qualcosa da ridire, signor Holmes? Ve lo ripeto, siete incorso in un grossolano errore e darei non so che cosa per una fotografia dell’espressione che vi si è stampata in faccia quando avete alzato il coperchio della bara credendo di trovarci dentro Lady Frances Carfax e invece avete visto il corpo di una povera novantenne.»
Holmes rimase impassibile nonostante gli scherni del suo antagonista; solo i pugni serrati tradivano un’ira dominata a fatica.
«Perquisirò questa casa» ribadì.
Una voce di donna e passi pesanti risuonarono nel corridoio. Peters si affrettò verso la porta.
«Ah, siete arrivati, signori!» esclamò. «Venite avanti, prego, da questa parte: i due signori qui presenti sono entrati in casa mia con la forza e non riesco a farli sloggiare. Aiutatemi a cacciarli fuori.»
Sulla soglia apparvero un sergente e una guardia urbana. Holmes esibì il suo biglietto da visita.
«Ecco, questo è il mio nome e il mio indirizzo. Il signore qui accanto è un amico, il dottor Watson.»
«Oh, signore, vi conosciamo bene» disse il sergente, «ma non siete autorizzato a star qui senza un mandato.»
«Certo che no, lo so bene.»
«Arrestatelo!» gridò Peters.
«Non abbiamo bisogno dei vostri suggerimenti per sapere come comportarci con
questo signore» ribadì in tono solenne il poliziotto. Poi, rivolto a Holmes: «Dovete proprio andarvene.»
«Sì. Muoviamoci, Watson.»
Uscimmo in strada. Holmes era calmo come sempre, ma io schiumavo di rabbia e di umiliazione. Il sergente ci aveva seguiti.
«Desolato, signor Holmes» mormorò, «ma è la legge.»
«Naturalmente, sergente, non potevate comportarvi altrimenti.»
«Però sono convinto che la vostra presenza in quella casa fosse più che giustificata.
Se c’è qualcosa che posso fare...»
«Una signora è scomparsa, sergente, e noi pensiamo che si trovi in casa di Peters.
Aspetto un mandato di perquisizione da un momento all’altro.»
«Terrò d’occhio i dintorni, allora, e se accade qualcosa vi avvertirò
immediatamente.»
Erano solo le nove e ci rimettemmo in caccia senza perdere tempo. Per prima cosa
andammo al ricovero per anziani di Brixton e lì apprendemmo che, effettivamente, una coppia animata da spirito cristiano si era presentata qualche giorno prima per prelevare una vecchia svanita che un tempo aveva servito a casa loro: avevano ottenuto il permesso e se l’erano portata via. Nessuno sembrò meravigliarsi che fosse morta.
La seconda visita fu per il medico. Costui ammise di esser stato chiamato e di aver trovato la donna morente di vecchiaia; aveva addirittura assistito alla sua fine e steso il certificato nella forma dovuta.
«Vi assicuro che tutto era perfettamente normale e non c’è la minima ombra di dubbio su come si sono svolte le cose» disse.
Aggiunse di non aver trovato niente di strano nella casa, si era solo stupito che gente di quella condizione sociale non avesse servitù. E da lui non ci fu verso di cavare altro.
Finalmente raggiungemmo Scotland Yard. Alcune difficoltà burocratiche avevano ritardato la stesura del mandato e non sarebbe stato possibile farlo firmare al magistrato prima dell’indomani mattina. Se Holmes fosse tornato verso le nove, avrebbe potuto rendere esecutivo il mandato insieme a Lestrade.
La giornata non sembrava promettere niente altro e invece, verso la mezzanotte, il nostro amico sergente venne ad avvertirci che aveva veduto delle luci scintillare qua e là alle finestre; però nessuno era uscito e nessuno era entrato. Non c’era altro da fare che armarci di pazienza e aspettare l’indomani.
Sherlock Holmes era troppo irritabile per conversare e troppo irrequieto per dormire. Quando lo lasciai stava fumando a tutto spiano, con le folte sopracciglia scure corrugate, le lunghe dita che tamburellavano senza sosta sui braccioli della poltrona, immerso in profondi pensieri. Più volte, durante la notte, lo sentii aggirarsi per le stanze. Alla fine verso mattina, quando mi ero appena svegliato, si precipitò
nella mia camera in vestaglia. Ma le ombre scure che aveva sotto gli occhi, il pallore del viso mi dissero che doveva aver trascorso una notte del tutto insonne.
«Per che ora è stato fissato il funerale? Per le otto, vero?» mi chiese ansiosamente. «Bene, ora sono le sette e venti. Maledizione, Watson, che ne è stato di quel poco cervello concessomi dalla divina Provvidenza? Su, su, presto... è questione di vita o di morte... novantanove probabilità di morte contro una di vita! Non mi perdonerò mai se non giungiamo in tempo.»
Cinque minuti più tardi volavamo lungo Baker Street in una carrozza chiusa; alle sette e trentacinque oltrepassavamo Big Beng e scoccavano le otto quando imboccammo come un turbine Brixton Road. Ma anche gli altri erano in ritardo quanto noi. Dieci minuti dopo l’ora fissata il carro funebre era ancora fermo davanti alla porta della casa e proprio nel momento in cui il nostro cavallo fumante di sudore si fermava, la bara comparve sulla soglia portata a spalla da tre uomini. Holmes si proiettò fuori dalla carrozza e sbarrò loro la strada.
«Riportatela indietro!» gridò, sospingendo per il petto il primo dei tre. «Riportatela indietro immediatamente! »
«Che diavolo significa tutto questo? Ve lo chiedo per l’ultima volta: dov’è il mandato?» urlò Peters, furibondo, il viso più paonazzo del solito che emergeva oltre il bordo del feretro.
«Il mandato è per strada. E la bara resterà qui fino a che non sarà arrivato.»
L’autorità che trapelava dalla voce e dall’atteggiamento di Holmes produsse l’effetto desiderato sui becchini. Peters era improvvisamente svanito dentro casa e gli uomini non ebbero difficoltà a obbedire ai suoi ordini.
Mentre la bara veniva riadagiata sul tavolo della sala, Holmes lanciò una raffica di ordini.
«Presto, Watson, presto! Ecco, prendete questo cacciavite... e ce n’è un altro anche per voi becchino. Sono disposto a darvi cinque sterline se riuscite a sollevare il coperchio in un minuto... su, niente domande, datevi daffare, tutti. Bene, forza! Ora alzate. Ecco, finalmente ci siamo!»
Grazie agli sforzi di tutti noi fu possibile sradicare il coperchio. Dall’interno della bara uscì un odore acuto, inconfondibile: quello del cloroformio. Sul fondo, sotto il corpo della vecchia, ce n’era adagiato un altro con la testa avvolta in ovatta imbevuta di narcotico. Holmes la tirò via con violenza e apparve il volto pallido, spirituale, bellissimo di una donna di mezza età. Il mio amico passò le braccia intorno alle spalle di quella creatura inerte e la mise seduta.
«È già morta, Watson? C’è ancora un barlume di speranza? Non possiamo essere arrivati troppo tardi!»
Per mezz’ora sembrò che fosse proprio così. Tra la mancanza d’aria dentro la bara e i vapori velenosi del cloroformio, Lady Frances appariva perduta al mondo dei vivi. Poi, alla fine, con la respirazione artificiale, iniezioni di etere e ogni altro mezzo suggerito dalla scienza in casi simili, un lieve velo di colore sulle guance, un vibrare di ciglia appena percettibile, una sottile appannatura dello specchio ci avvertirono che, lentamente, la vita tornava.
Il rumore di una carrozza ruppe il silenzio; Holmes socchiuse la persiana, guardò in strada e annunciò:
«Sta arrivando Lestrade con il mandato.»
Una breve pausa, poi, mentre un passo pesante risuonava nel corridoio, aggiunse: «Ed ecco qui qualcuno che ha più diritto di noi di prendersi cura della signora.
Buongiorno, signor Green. Io credo che prima portiamo via Lady Frances, meglio è. Naturalmente il funerale avrà luogo ugualmente, ma la povera vecchia che ancora giace in quella bara raggiungerà da sola il luogo dell’eterno riposo. Per fortuna!»
«Se vi interessa aggiungere questo caso agli altri descritti nei vostri annali, mio caro Watson mi disse Holmes quella sera, «potrete citarlo come un esempio delle crisi a cui possono andare incontro anche le menti più aperte. Errori simili sono comuni a tutti i mortali, importante è riconoscerli e porvi rimedio. Così è accaduto a me. La notte scorsa ero ossessionato dall’idea che un indizio, una frase, un particolare qualsiasi fossero passati al vaglio della mia intelligenza senza la dovuta attenzione. Poi, d’improvviso, poco prima dell’alba, quella frase che inconsciamente cercavo mi tornò alla mente. L’aveva pronunciata la moglie dell’imprenditore di pompe funebri e mi era stata riferita da Green. La donna aveva detto, riferendosi alla bara: “C’è stato un ritardo, dovuto al fatto che era di dimensioni superiori al normale.” Di misura fuori del normale... dunque, era stata costruita appositamente, era più grande delle solite in commercio. Perché? Per quale ragione? Come in un lampo, rividi l’ampiezza del feretro e la minuta fragilità del vecchio corpo che vi avevamo visto adagiato. Perché una bara così grande per un cadavere così piccolo? Per lasciare spazio a un altro corpo, morto o vivo che fosse! Le due donne sarebbero state seppellite insieme con un unico certificato! Perché non ci avevo pensato prima? Lady Frances sarebbe stata sepolta alle otto, così l’unica nostra speranza era di arrivare in tempo a fermare il corteo funebre prima che abbandonasse la casa. Avevamo una possibilità infinitesimale di trovarla ancora viva, ma era pur sempre una possibilità e i risultati ci hanno dato ragione. Per quel che ne so, quella gente non si era mai spinta fino all’assassinio e probabilmente hanno cercato fino all’ultimo di non esercitare una vera e propria violenza fisica. Era molto più semplice seppellirla viva senza lasciar tracce del loro misfatto e, anche se fosse stata riesumata, avevano buone speranze di cavarsela. Non è difficile ricostruire il loro modus operandi. Avete visto quell’orribile stanzetta nella soffitta dove la povera Lady Frances è stata tenuta prigioniera per tanto tempo. Dovettero stordirla con il cloroformio, trascinarla a pianterreno, cospargere la bara con altro cloroformio per impedire che si riavesse, infine avvitarono il coperchio. Sono stati molto astuti, non mi ero mai trovato davanti a procedimenti del genere, lo confesso. Se i due ex missionari riusciranno a sfuggire alle grinfie di Lestrade, mi aspetto di sentir parlare ancora di loro, di veder arricchita la loro losca carriera.»

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