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Capitolo VIII (INCOMPLETO)

"Addio, monti sorgenti dall'acque,
ed elevati al cielo; cime inuguali, note
a chi è cresciuto tra voi, e impresse
nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto
de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue
lo scroscio, come il suono delle voci domestiche;
ville sparse e biancheggianti sul pendìo,
come branchi di pecore pascenti, addio!
Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi,
se ne allontana! ..."

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I Promessi Sposi
 · 1 Apr 2018
M. Fanolli, La partenza dei promessi sposi
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M. Fanolli, La partenza dei promessi sposi

Personaggi: Renzo, Lucia, Agnese, Tonio, Gervaso, Perpetua, don Abbondio, il Griso, i bravi, Menico, Ambrogio, padre Cristoforo, il console, fra Fazio

Luoghi: Il paese di Renzo e Lucia, il convento di Pescarenico

Tempo: Notte del 10 novembre 1628

Temi: La giustizia, Nobiltà e potere, Chiesa e religione

Trami: Renzo, Lucia e gli altri tentano il "matrimonio a sorpresa", ma don Abbondio riesce a impedirlo. Il sagrestano Ambrogio suona le campane a martello, richiamando l'intero paese. Il Griso e i suoi bravi penetrano in casa di Agnese e Lucia, non trovando nessuno. Sopraggiunge Menico, che riesce a fuggire dai bravi grazie ai rintocchi delle campane. Renzo, Agnese e Lucia raggiungono padre Cristoforo al convento. Il frate consiglia ai due promessi di lasciare il paese, quindi avviene la separazione e la partenza.

F. Gonin, Carneade
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F. Gonin, Carneade

Perpetua informa don Abbondio dell'arrivo di Tonio e Gervaso

Don Abbondio è seduto in una stanza al primo piano della sua casa, intento a leggere un libro in cui è nominato il filosofo Carneade, di cui lui non sa nulla (il curato si diletta a leggere e un sacerdote suo vicino gli presta ogni tanto dei libri scelti a caso); quest'opera è un panegirico scritto in onore di S. Carlo Borromeo, in cui quest'ultimo è paragonato ad Archimede e al filosofo del II sec. a.C. Perpetua entra ad annunciare la visita di Tonio e Gervaso, al che don Abbondio si lamenta dell'ora tarda ma poi accetta di riceverli, ansioso di riavere indietro i suoi soldi. Il curato chiede alla sua domestica se si sia accertata dell'identità di Tonio, domanda a cui la donna risponde in modo alquanto stizzito, quindi Perpetua scende di sotto per fare entrare i due uomini.

Gustavino, Agnese e Perpetua
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Gustavino, Agnese e Perpetua

Agnese "distrae" Perpetua

Perpetua raggiunge Tonio e Gervaso, trovando anche Agnese che la saluta: la domestica chiede alla donna da dove viene e Agnese nomina un paesetto vicino, aggiungendo che lì ha sentito dei discorsi che possono interessare Perpetua. La domestica invita i due uomini a entrare, mentre Agnese dice che secondo alcuni pettegolezzi Perpetua in gioventù non avrebbe sposato due pretendenti (Beppe Suolavecchia e Anselmo Lunghigna) perché non l'avevano voluta, al che la donna reagisce stizzita affermando che nulla di tutto ciò è vero e chiedendo a gran voce chi sia la fonte di simili menzogne. Agnese finge di voler sapere altri particolari, quindi inizia a parlare con Perpetua e si allontana dalla casa del curato, addentrandosi in una viuzza che svolta dietro l'abitazione e da dove non si può vedere l'uscio. Quando le due donne sono abbastanza lontane, Agnese tossisce forte e questo segnale fa capire a Renzo e Lucia che è il momento di entrare in casa: i due promessi si avvicinano con cautela, entrano nell'andito dove li attendono Tonio e Gervaso, quindi i quattro salgono le scale con passi silenziosi, badando a non fare rumore per non mettere in allarme don Abbondio. Quando sono giunti al primo piano, i due promessi si stringono al muro per non farsi vedere, mentre i due fratelli si affacciano all'uscio della stanza dove si trova il curato e Tonio lo saluta con voce ferma, dicendo Deo gratias .

F. Gonin, Don Abbondio
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F. Gonin, Don Abbondio

Tonio parla con don Abbondio

Don Abbondio invita i due fratelli ad entrare, al che Tonio e Gervaso fanno il loro ingresso aprendo la porta e illuminando in parte il pianerottolo (dove Lucia è nascosta e trasalisce all'idea di essere scoperta), per poi richiuderla lasciando i due promessi nel buio. Il curato è seduto al suo scrittoio, alla luce di un debole lume che rischiara la sua faccia bruna e rugosa, i suoi capelli bianchi, i folti baffi e il pizzo, nonché la papalina che porta in testa. Egli saluta i due nuovi arrivati, mentre Tonio si scusa per l'ora tarda e riceve i rimproveri del curato, sia perché è da tempo che deve pagare il debito, sia perché il sacerdote si dice ammalato (in realtà don Abbondio è più guarito dalla febbre di quanto non voglia far credere). Il curato chiede a Tonio perché abbia portato anche il fratello, al che l'uomo risponde che voleva compagnia e poi consegna a don Abbondio venticinque berlinghe nuove di zecca, a pagamento del suo debito. Il religioso conta le monete e le controlla, quindi Tonio chiede indietro la collana della moglie Tecla data a garanzia del prestito e don Abbondio la estrae da un armadio; in seguito Tonio esige una ricevuta e il curato, sia pur brontolando un poco, si accinge a scriverla su un foglio di carta con penna e calamaio, ripetendo a voce alta le parole. In quel momento Tonio e Gervaso si mettono davanti allo scrittoio, coprendo la vista dell'uscio, e iniziano a sfregare i piedi sul pavimento, per segnalare ai due promessi che è il momento di entrare. Don Abbondio, tutto preso dalla stesura del documento, prosegue senza rendersi conto di nulla.

F. Gonin, La prontezza del curato
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F. Gonin, La prontezza del curato

Il "matrimonio a sorpresa" fallisce

Renzo afferra Lucia per un braccio e la conduce con sé, entrando con lei nella stanza: i due avanzano silenziosi, mettendosi dietro Tonio e Gervaso che stanno proprio davanti a don Abbondio e gli impediscono di vedere i due promessi. Il curato ha intanto finito di scrivere la ricevuta, quindi la rilegge senza alzare gli occhi dal foglio e, toltisi gli occhiali, porge la carta a Tonio chiedendo se è soddisfatto. Tonio allunga la mano per prendere il documento e si ritira da un lato, facendo cenno al fratello di fare la stessa cosa, per cui i due fanno comparire Renzo e Lucia che si parano subito di fronte a don Abbondio: nel breve tempo che questi, spaventato, pensa al da farsi, Renzo è lesto a pronunciare la formula del "matrimonio a sorpresa" ("Signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia moglie"), ma Lucia non fa in tempo a dire "e questo..." che il curato, con rapida mossa, ha lasciato cadere la carta, ha afferrato con la mano sinistra il lume e con la destra il tappeto che copre lo scrittoio, gettando il panno in testa alla giovane che non può dire altro. In seguito il curato lascia cadere il lume a terra e preme con le mani il tappeto su Lucia, per impedirle di parlare, mentre con quanto fiato in gola chiama Perpetua in soccorso; il lume si spegne sul pavimento, per cui la stanza sprofonda nella più totale oscurità.

F. Gonin, Tonio cerca la ricevuta
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F. Gonin, Tonio cerca la ricevuta

Il sagrestano Ambrogio suona le campane

Don Abbondio è lesto a chiudersi dentro una stanza interna, continuando a chiamare Perpetua in aiuto, mentre Renzo cerca a tastoni la porta e dice al curato di non fare schiamazzi, Tonio cerca carponi sul pavimento la sua ricevuta, Lucia prega Renzo di andar via e il povero Gervaso saltella qua e là come un invasato, cercando l'uscita. Manzoni fa alcune osservazioni ironiche sul fatto che Renzo sembra esercitare un sopruso sul curato, mentre in realtà è lui la vittima, e don Abbondio sembra essere un oppresso, mentre è lui a fare una prepotenza ai due promessi (così andavano le cose nel XVII secolo, il che sottintende che vanno spesso allo stesso modo nel XIX). Il curato si affaccia da una finestra della casa che dà sulla piazza della chiesa, illuminata quasi a giorno dal chiaro di luna, gridando aiuto a gran voce e facendosi udire dal sagrestano Ambrogio, che dorme in uno stanzino sul muro laterale della chiesa. Questi apre una piccola finestra e chiede al curato cosa succede, al che don Abbondio risponde che c'è "gente in casa": Ambrogio corre al campanile e inizia a suonare le campane a martello, per richiamare quanta più gente possibile e dare così aiuto al padrone. Tutti nel paese sono svegliati dai rintocchi e molti abitanti afferrano forconi e schioppi, precipitandosi verso la chiesa da cui provengono i rintocchi.

F. Gonin, I bravi nella casa
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F. Gonin, I bravi nella casa

Il Griso e i bravi penetrano nella casa delle due donne

I rintocchi vengono uditi da Agnese e Perpetua, ma anche dai bravi che sono impegnati in ben altre faccende: l'autore fa un passo indietro e spiega che i tre che stavano all'osteria si ritirano a tarda ora e fanno un giro per il paese, accertandosi che tutti siano andati a dormire, quindi raggiungono il Griso e gli altri appostati presso il casolare abbandonato. Il capo dei bravi indossa un cappellaccio e un mantello da pellegrino, impugna un bastone e si muove seguito dagli altri, avvicinandosi alla casa delle due donne dalla parte opposta a quella da cui si erano allontanati Renzo e tutti gli altri. Giunto all'uscio di strada, il Griso ordina a due sgherri di calarsi oltre il muro di cinta e nascondersi dietro un fico nel cortile, mentre lui bussa per fingersi un pellegrino smarrito che chiede ricovero per la notte. Poiché non riceve risposta, fa entrare un terzo bravo che sconficca il paletto e apre l'uscio, quindi il Griso raggiunge l'uscio della casa bussando ancora e, ovviamente, non ricevendo alcuna risposta (intanto gli altri bravi hanno raggiunto i compagni nascosti). Il Griso sconficca anche questa serratura ed entra con cautela, chiamando con sé i due bravi nascosti dietro il fico e facendo luce con una debole lanterna, poi si accerta che al pian terreno non ci sia nessuno; successivamente sale adagio la scala, accompagnato dal Grignapoco (un bravo originario di Bergamo che dovrebbe far credere con la sua parlata che la spedizione venga da quella contrada) e seguito da altri uomini, giungendo alle stanze del primo piano. Entra cautamente dentro una di esse, ma trova il letto intatto, così come avviene quando va a esplorare l'altra stanza; il Griso pensa che qualcuno abbia fatto la spia, non sapendo spiegarsi l'assenza delle due donne.

F. Gonin, I bravi e Menico
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F. Gonin, I bravi e Menico

L'arrivo di Menico e le campane a martello

Intanto i due bravi rimasti a sentinella dell'uscio di strada sentono dei piccoli passi frettolosi che si avvicinano: si tratta di Menico, inviato da padre Cristoforo ad avvisare Lucia e Agnese di scappare per via del rapimento e di rifugiarsi al convento. Il ragazzo fa per aprire il paletto della porta ma lo trova sconficcato, per cui entra titubante ed è subito afferrato per le braccia dai bravi che gli intimano con tono minaccioso di far silenzio. Menico caccia un urlo, al che un bravo gli mette una mano sulla bocca e l'altro tira fuori un coltello per spaventarlo, quando all'improvviso il silenzio della notte è rotto dai rintocchi delle campane a martello: i due bravi sono decisamente allarmati, per cui lasciano andare Menico (che si affretta a fuggire via e a dirigersi verso la chiesa) ed entrano in casa, dove gli altri complici cercano di guadagnare l'uscita in modo disordinato. Il Griso cerca di tenerli insieme e di calmarli, come il cane che fa la guardia a un branco di maiali, quindi il gruppo esce dalla casa in buon ordine e si allontana dal paese (la casa è posta al fondo di esso).

F. Gonin, Menico e gli altri
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F. Gonin, Menico e gli altri

Menico raggiunge Renzo e gli altri

L'autore torna ad Agnese e Perpetua, che nel frattempo continuano a parlare con la prima che cerca in ogni modo di trattenere la seconda e di non farla tornare verso casa, ravvivando di continuo il discorso con nuove domande (Agnese si rammarica di non aver concertato con Renzo e Lucia un segnale che indichi il buon esito dello stratagemma). Quando le due donne sono a poca distanza dalla casa del curato, si sente all'improvviso il primo grido di don Abbondio che chiama aiuto, al che Agnese finge indifferenza; cerca di trattenere Perpetua, la quale però riesce a divincolarsi e si precipita verso l'uscio, avendo capito che sta accadendo qualcosa. Agnese la segue, mentre si sente l'urlo di Menico e quasi contemporaneamente inizia lo scampanio, quindi raggiungono l'uscio della casa da cui escono di corsa Renzo e tutti gli altri. Tonio e Gervaso sono rapidi ad allontanarsi, quindi Perpetua (che ha riconosciuto i due promessi non senza sorpresa) entra e sale di corsa le scale. Renzo esorta Agnese e Lucia a tornare subito a casa, ma in quella sopraggiunge Menico che invita tutti ad andare al convento di padre Cristoforo, poiché "C'è il diavolo in casa" (il ragazzo allude ai bravi che hanno tentato di ucciderlo); Renzo raccoglie l'invito e i quattro si allontanano in fretta, dirigendosi al convento di Pescarenico tagliando per i campi.


I paesani accorrono alla casa del curato

Intanto un gran numero di abitanti del paese, allarmati dalle campane a martello, raggiungono la chiesa e chiedono ad Ambrogio cosa stia succedendo, al che il sagrestano risponde che c'è qualcuno in casa del curato: gli uomini si dirigono subito là, ma trovano l'uscio intatto e chiuso e tutto sembra tranquillo e in ordine. Don Abbondio sta ancora litigando con Perpetua che accusa di averlo lasciato solo nel momento del bisogno, quando i paesani lo chiamano a gran voce: suo malgrado, il curato deve affacciarsi da una finestra e tranquillizzare tutti, dicendo che gli intrusi sono fuggiti e invitando i presenti a tornare a casa. La folla sta per disperdersi, quando arriva trafelato un uomo che abita vicino alla casa di Agnese e ha visto i bravi armati nel cortile di questa, nonché un pellegrino (che, in realtà, era il Griso travestito), per cui esorta il gruppo ad andare subito là: la folla raggiunge la casa e non tarda ad accorgersi che l'abitazione è stata violata e le due donne sono scomparse, dunque viene fatta la proposta di gettarsi all'inseguimento dei rapitori. Alcuni sono titubanti, quando si sparge la voce che Agnese e Lucia si sono messe in salvo in una casa vicina e poiché la cosa viene creduta la folla si disperde rapidamente, senza che quella notte accada nient'altro di significativo. Il mattino dopo il console del paese riceverà la visita di due bravi che gli intimeranno di non rendere testimonianza su quanto è avvenuto la sera prima e di non sollevare scandali, se intende morire di malattia e non di morte violenta.

F. Gonin, Padre Cristoforo e gli altri
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F. Gonin, Padre Cristoforo e gli altri

Renzo, Lucia e Agnese arrivano al convento

Frattanto Renzo, Agnese e Lucia proseguono la loro fuga insieme a Menico, finché i quattro raggiungono un campo isolato dove non c'è nessuno e non si sentono più i lugubri rintocchi delle campane. Renzo informa Agnese del triste esito dello stratagemma, quindi Menico racconta dell'avvertimento ricevuto da padre Cristoforo e racconta cosa gli è successo a casa delle due donne, al che gli altri si guardano l'un l'altro spaventati e poi accarezzano il ragazzo, per consolarlo del pericolo corso. Agnese gli dà quattro monete d'argento e Renzo una berlinga, quindi Menico è invitato a tornare a casa (Renzo gli raccomanda di non dire nulla di quanto appreso dal frate).
I tre proseguono verso il convento, con Renzo che cammina indietro per fare la guardia, mentre Lucia, spaventata e turbata da quanto è successo, cammina appoggiandosi alla madre (questa chiede che ne sarà della loro casa, ma nessuno risponde). Infine giungono al convento e Renzo ne apre la porta, trovando padre Cristoforo che è in attesa insieme a fra Fazio, il laico sagrestano dei cappuccini. Il padre si rallegra che non manchi nessuno, quindi li fa entrare suscitando le proteste di fra Fazio, che ha da ridire sulla presenza di due donne nel convento a notte alta: Cristoforo lo mette a tacere con la frase latina Omnia munda mundis ("tutto è puro per i puri") e il sagrestano non oppone altre resistenze.

fonte: http://promessisposi.weebly.com/capitolo-viii.html

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