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Capitolo XXIII incompleto

"A misura che queste parole uscivan dal suo labbro,
il volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso.
La faccia del suo ascoltatore, di stravolta e convulsa,
si fece da principio attonita e intenta;
poi si compose a una commozione più profonda
e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia
più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono;
quando le parole furono cessate, si coprì il volto
con le mani, e diede in un dirotto pianto,
che fu come l'ultima e più chiara risposta..."

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I Promessi Sposi
 · 2 Apr 2018
A. Guardassoni, L'innominato e il cardinale
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A. Guardassoni, L'innominato e il cardinale

Personaggi: Don Abbondio, l'innominato, il cardinal Borromeo, il cappellano crocifero, la moglie del sarto

Luoghi: Il castello dell'innominato, il paese vicino, la Malanotte

Tempo: Novembre 1628

Temi: La giustizia, Nobiltà e potere, Chiesa e religione

Trama: Colloquio tra l'innominato e il cardinale. Pentimento dell'innominato, che rivela al cardinale il rapimento di Lucia. Il cardinale fa chiamare don Abbondio e gli affida il compito di andare a liberare la giovane, in compagnia di una "buona donna" (la moglie del sarto del paese) e dell'innominato. Timori e paure di don Abbondio durante il tragitto verso il castello del bandito.

F. Gonin, Il cappellano e il cardinale
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F. Gonin, Il cappellano e il cardinale

Il cappellano crocifero introduce l'innominato dal cardinale

Il cardinal Borromeo sta leggendo in attesa di recarsi in chiesa per le funzioni, come è solito fare nei rari momenti liberi, quando entra il cappellano crocifero con viso alterato a riferirgli che c'è una visita assai singolare e dicendo che l'innominato (il cui nome pronuncia con tono di deferenza e timore) chiede di essere ricevuto. Il cardinale si mostra entusiasta e ordina di farlo entrare immediatamente, al che il cappellano tenta di obiettare che si tratta di un famoso bandito e che potrebbe aver ricevuto da altri l'incarico di assassinare il prelato: il Borromeo sorride di tanta ingenuità e osserva che è ben singolare che i soldati esortino il generale ad aver paura, quindi (dopo aver ricordato che il cugino S. Carlo sarebbe addirittura andato in cerca di un tale uomo) comanda di farlo entrare senza indugio, poiché ha già aspettato troppo. Il cappellano obbedisce, pensando tra sé che i santi sono tutti ostinati, ed esce per recarsi nella stanza dove l'innominato attende, in compagnia dei curati che lo osservano intimoriti da una parte e parlano tra loro. Il cappellano si rivolge al bandito e, dopo aver rinunciato a chiedergli di deporre le armi che probabilmente porta sotto la veste, lo informa che il cardinale è pronto a riceverlo. L'innominato lo segue e i due passano attraverso quella piccola folla che osserva con grande stupore, mentre il cappellano sembra dire con lo sguardo che il comportamento del cardinale è singolare come al solito.

F. Gonin, Borromeo e l'innominato
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F. Gonin, Borromeo e l'innominato

Il cardinale accoglie l'innominato

L'innominato entra nella stanza dove si trova il cardinale, il quale lo accoglie con volto sereno e a braccia aperte, per poi comandare al cappellano crocifero di uscire (questi obbedisce immediatamente). Rimasti soli, i due uomini restano qualche attimo in silenzio e come in attesa degli eventi: l'innominato è roso da una smania interiore e da due sentimenti opposti, ovvero il desiderio di trovare sollievo al suo tormento e la vergogna di essere lì, a supplicare un uomo come un miserabile, anche se guardando il cardinale è indotto a provare una certa venerazione per lui e ciò contribuisce ad attenuare l'orgoglio del bandito. Del resto l'aspetto di Federigo ispira superiorità e, al tempo stesso, si fa amare, dal momento che il suo portamento è maestoso e composto, lo sguardo vivace, l'espressione serena e pensosa; i capelli bianchi, il pallore, i segni dell'astinenza, tutto gli conferisce una sorta di virginale freschezza, mentre una bellezza senile ha preso il posto di quella che doveva essere la sua piacevolezza giovanile, anche grazie alla pace interiore, all'amore per il prossimo, alla speranza della futura beatitudine.

A. Birelli, Federigo e l'innominato
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A. Birelli, Federigo e l'innominato

Colloquio tra il cardinale e l'innominato: la disperazione del bandito

Anche il cardinale tiene per un po' lo sguardo sull'innominato, per scrutare qualcuno dei suoi pensieri nascosti, convincendosi infine che forse la sua speranza circa quell'incontro non è del tutto mal riposta. Si rivolge infine al bandito manifestando la sua gioia per quella visita inattesa, anche se, a suo dire, essa giunge come un rimprovero per il prelato: l'altro ne è sorpreso e il Borromeo spiega che sarebbe toccato a lui recarsi dall'innominato e da molto tempo, al che il bandito esprime tutto il suo stupore ricordando al cardinale la sua identità e chiedendogli se il suo nome gli è stato riferito a dovere. In realtà, ribatte Federigo, la consolazione che lui prova nel vederselo davanti e che esprime col suo volto non potrebbe essere causata da uno sconosciuto, in quanto egli ha spesso pregato per l'innominato, che considera come uno dei suoi figli e che avrebbe da tempo voluto abbracciare, anche se Dio è stato più sollecito e ha supplito alla lentezza del suo umile servitore.
L'innominato è sbalordito di fronte a tali parole e resta in silenzio, al che il cardinale lo esorta con premura a dargli la "buona novella" che è sicuramente venuto a recargli: il bandito ribatte che ha l'inferno nel cuore e non ha buone notizie da dare al cardinale, ma questi si dice certo che Dio gli ha toccato l'animo e vuole convertirlo. L'innominato protesta col dire che non sa dove si trova questo "Dio" di cui sente parlare, ma Federigo gli ricorda che nessuno può saperlo meglio di lui, che lo sente in cuore, ne è tormentato e stimolato e, al tempo stesso, attratto da Lui, nella speranza di una consolazione purché egli ammetta le sue colpe ne chieda perdono. L'innominato dichiara che, in effetti, c'è qualcosa di terribile che lo opprime, ma, posto che Dio esista, si chiede cosa mai potrebbe fare di lui: il cardinale spiega che Dio lo ha scelto per farne un esempio della Sua gloria, superiore a quella, misera, che gli viene dalle molte voci che nel mondo si levano contro il bandito per biasimarne i tanti delitti e soprusi, voci dettate dalla giustizia ma anche dal timore, dall'invidia per la sua sciagurata potenza che pare invincibile. Ma se l'innominato si ravvedesse e riconoscesse le sue colpe di fronte al mondo, allora questa sarebbe una gloria straordinaria per Dio e non è certo il cardinale, Suo umile servo, che possa dire cosa Dio farà del bandito e della sua eccezionale volontà, una volta che questa sia stata volta al bene e infiammata dal pentimento. L'innominato, prosegue Federigo, si è illuso di compiere grandi imprese al servizio del male, ma esse sono nulla di fronte a quelle che compirà per il bene dopo essersi convertito, mentre lui stesso è pieno della carità che Dio gli infonde e che lo spingerebbe a dare gli ultimi giorni che gli restano da vivere, pur di vedere lo spettacolo straordinario di un simile ravvedimento.

G. Mantegazza, Borromeo e l'innominato
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G. Mantegazza, Borromeo e l'innominato

Il pianto dell'innominato

Il discorso appassionato e vibrante del cardinale commuove profondamente l'innominato, il quale sente salire le lacrime agli occhi che, pure, non sono abituati a piangere sin dalla fanciullezza: alla fine delle parole di Federigo il bandito si copre il volto con le mani e scoppia in un pianto dirotto, che rappresenta la risposta più eloquente alle sollecitazioni del prelato. Il Borromeo ringrazia la bontà divina e alza le mani e gli occhi al cielo, facendo poi per prendere la mano dell'innominato il quale, tuttavia, lo esorta a stare lontano per non contaminare la propria mano pura e benefica con la sua macchiata del sangue di tanti innocenti; il cardinale vuole invece stringerla, certo che in futuro essa riparerà i torti compiuti, solleverà gli afflitti e si stenderà disarmata verso gli antichi nemici.
L'innominato esorta ancora Federigo a non trattenersi lì con lui, lasciando il popolo che è venuto in folla a vederlo, ma il cardinale ribatte di volere assistere la pecorella smarrita e afferma che, forse, Dio diffonde tra la gente la gioia per la conversione di cui ancora non sa nulla, aprendo poi le braccia e pregando l'innominato di accettare il suo abbraccio. Il bandito ha un attimo di esitazione, quindi abbraccia il cardinale e appoggia il volto in lacrime sulla spalla del prelato, bagnando la sua porpora mentre Federigo stringe la casacca di quell'uomo che si è macchiato di tanti atroci delitti.

Gustavino, L'innominato e il cardinale
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Gustavino, L'innominato e il cardinale

L'innominato rivela il rapimento di Lucia

L'innominato si stacca dall'abbraccio del cardinale e ringrazia Dio per la grazia ricevuta, affermando di comprendere pienamente tutta l'iniquità delle malefatte commesse e, pure, di provare una gioia e un sollievo indicibili, cosa che Federigo attribuisce alla volontà divina di favorire la sua conversione e spingerlo a riparare almeno in parte al male compiuto. Il bandito dichiara che, purtroppo, potrà solo rimpiangere molti delitti perpetrati, anche se c'è un'impresa scellerata che ha appena intrapreso e che è ancora in tempo per troncare: egli rivela al cardinale il rapimento di Lucia, descrivendo con parole di orrore tutti i patimenti della giovane e aggiungendo che è ancora prigioniera al suo castello. Il Borromeo afferma che questo è un segno del favore divino, poiché l'innominato è in grado di fare subito una buona azione, quindi domanda al bandito quale sia il paese da cui proviene la ragazza. L'innominato glielo indica e Federigo si affretta a chiamare con un campanello il cappellano crocifero, che rientra in ansia e si stupisce vedendo l'innominato con gli occhi rossi di pianto, mentre sul volto del cardinale c'è un'espressione che esprime sollecitudine e contentezza. Borromeo gli chiede se tra i parroci riuniti nella sala accanto vi sia quello del paese di Lucia e il cappellano risponde di sì, al che il prelato gli ordina di farlo venire immediatamente da loro insieme al curato del paese dove si trovano.

Il cappellano e don Abbondio (ed. 1840)
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Il cappellano e don Abbondio (ed. 1840)

Il cappellano chiama don Abbondio

Il cappellano esce e raggiunge i curati radunati nella sala contigua, dove tutti lo guardano stupiti: egli alza le mani al cielo e afferma che c'è stato un prodigio reso possibile dall'intervento divino, quindi, dopo un attimo di silenzio, chiede che si facciano avanti il curato di quella parrocchia e quello del paese di Lucia, ovvero don Abbondio. Il primo si fa avanti senza esitazioni, mentre il secondo si limita a chiedere stupito se è stato chiamato proprio lui, al che il cappellano gli ribadisce che il cardinale vuole parlargli subito. Don Abbondio si fa avanti con passo incerto e con volto stupito e indispettito, quindi segue insieme all'altro sacerdote il cappellano che mostra una certa impazienza per tante resistenze. I tre rientrano nella sala dove si trovano l'innominato e il Borromeo, il quale si rivolge al parroco della chiesa e gli chiede di indicargli una donna assennata perché vada al castello con una lettiga a prendere Lucia, in grado di consolarla e tranquillizzarla dopo i terrori patiti. Il curato riflette un momento e poi esce, dicendo di aver trovato la persona adatta, quindi il cardinale ordina al cappellano di allestire una lettiga per il trasporto di Lucia e di far sellare due mule, al che l'uomo esce a sua volta.

L'uscita del cardinale e dell'innominato (ed. 1840)
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L'uscita del cardinale e dell'innominato (ed. 1840)

Il cardinale manda don Abbondio al castello dell'innominato

Il cardinale si rivolge a don Abbondio, il quale gli si avvicina per deferenza e per timore dell'innominato, manifestando il suo stupore per essere stato chiamato dal prelato. Federigo lo informa che una sua parrocchiana, Lucia Mondella, si trova al castello del bandito e incarica il curato di recarsi lì insieme alla donna che il parroco del paese è andato a chiamare, per liberarla e portarla subito in salvo. Don Abbondio cerca di mascherare il disappunto per quel comando e si inchina profondamente a entrambi i presenti, quindi il Borromeo gli chiede se Lucia abbia dei parenti e il curato risponde che ha solo la madre Agnese, che si trova al loro paese. Il cardinale incarica don Abbondio di provvedere a far portare subito la donna lì con un calesse e il curato ne approfitta per proporre di andare lui stesso al paese, adducendo come pretesto la sensibilità di Agnese che, dice, potrebbe impressionarsi con un estraneo. Il cardinale ribatte che don Abbondio è più utile altrove, ovvero al castello ove dovrà consolare Lucia, anche se non scende in dettagli per non urtare l'animo dell'innominato lì presente: il prelato intuisce facilmente che don Abbondio è spaventato all'idea di viaggiare solo con il bandito, e per evitare di parlare col curato in disparte si rivolge all'innominato per mostrare l'avvenuta conversione, chiedendogli di tornare a trovarlo presto in compagnia dello stesso curato, al che l'altro promette che lo farà senz'altro in quanto bisognoso dell'assistenza spirituale del cardinale.
Don Abbondio osserva i due come uno che guardi un cane famoso per la sua ferocia, che il padrone mostra come una bestia del tutto mansueta e al quale non osa avvicinarsi, mentre rimpiange di non essere a casa propria. Il cardinale si appresta a uscire insieme al bandito e si rivolge al curato temendo che si senta trascurato, sottolineando la straordinaria conversione dell'innominato: don Abbondio ostenta la sua approvazione e fa un profondo inchino a entrambi, quindi il cardinale esce e tutti gli sguardi si concentrano su quella incredibile coppia, con Federigo che esprime gioia e compostezza, l'innominato che lascia trasparire il pentimento, la confusione e la sua indole ancora selvaggia. Don Abbondio segue i due con fare modesto, senza che nessuno noti la sua presenza.

F. Gonin, Don Abbondio e la mula
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F. Gonin, Don Abbondio e la mula

Don Abbondio e l'innominato lasciano il paese

Il primo servitore del cardinale gli si avvicina e lo informa che la lettiga e le mule sono pronte, mentre il curato del paese è in arrivo con la donna che dovrà recarsi al castello con don Abbondio e l'innominato. Federigo si accommiata dal bandito con una stretta di mano e gli dice che lo aspetta di lì a poco, quindi esce per recarsi in chiesa accompagnato da tutti i parroci presenti. Don Abbondio resta solo con l'innominato, che ha il volto corrucciato al pensiero che presto potrà liberare Lucia, anche se la sua espressione riempie di paura il curato: questi si limita a guardarlo e a chiedersi cosa mai possa dirgli senza apparire villano, dubitando in cuor suo della veridicità di quella conversione incredibile. Don Abbondio pensa tra sé che avrebbe potuto evitare di recarsi lì a omaggiare il cardinale e se la prende con Perpetua che quella mattina lo ha spinto ad andare, mentre ora potrebbe essere al sicuro nella sua casa. Finalmente giungono il curato del paese e il servitore del cardinale, che informano che tutto è pronto per la partenza, al che don Abbondio incarica il parroco di provvedere a far venire lì Agnese e poi chiede all'altro di procurargli una mula quieta visto che è un cavaliere inesperto (gli viene detto che è la mula del segretario del prelato, ovvero un intellettuale poco avvezzo a cavalcare).
Don Abbondio segue poi a malincuore l'innominato nel cortiletto interno, dove il bandito riprende la sua carabina: questo gesto riempie il curato di terrore, anche se egli è abile a dissimularlo e dunque il bandito non fa nulla per rassicurarlo circa le sue paure. I due raggiungono le due mule e la lettiga, quindi montano in sella (il curato ha bisogno di aiuto per riuscire nell'operazione): la lettiga si muove, portata da due mule e da un conducente, quindi la comitiva inizia ad attraversare il paese.

F. Gonin, Don Abbondio inizia il viaggio
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F. Gonin, Don Abbondio inizia il viaggio

Il viaggio di don Abbondio: incertezza e paura

Don Abbondio, l'innominato e la lettiga passano di fronte alla chiesa gremita di folla e attraversano una piazzetta anch'essa piena di gente, che si fa largo per il desiderio di vedere il famoso bandito la cui conversione, frattanto, si è risaputa in paese. L'innominato si toglie il cappello inchinandosi di fronte al popolo, imitato dal curato che si raccomanda al cielo ed è commosso a sentire gli altri parroci che cantano in chiesa, rammaricandosi di non poter essere insieme a loro.
Poco dopo la comitiva lascia l'abitato ed entra in aperta campagna, dove il curato è preda di cupi pensieri e rivolge lo sguardo solo al conducente della lettiga, certo che si tratti di un uomo onesto in quanto al servizio del cardinale. Vorrebbe parlare con l'innominato, anche per sincerarsi dell'avvenuto ravvedimento, ma lo vede talmente assorto nei suoi pensieri che non osa aprir bocca e inizia invece a pensare tra sé agli avvenimenti di cui è protagonista. Se la prende coi santi e i malfattori, che vogliono sempre coinvolgere nelle loro imprese le persone quiete come lui, che vorrebbe solo starsene tranquillo senza far male a nessuno; maledice don Rodrigo, che essendo ricco e potente potrebbe vivere senza pensieri e invece cerca solo di molestare le donne, volendo andare all'inferno anziché in paradiso. Guarda di sottecchi l'innominato e si chiede se si sia davvero convertito, accusandolo in cuor suo di aver commesso in passato ogni genere di delitto invece di vivere quietamente, mentre ora ha coinvolto anche lui in questa sorta di penitenza che avrebbe potuto svolgere a casa sua senza tanti schiamazzi. Don Abbondio accusa anche il cardinale di aver subito accolto il bandito a braccia aperte, credendo troppo facilmente al suo pentimento, al punto di affidargli la vita di un povero curato senza alcuna garanzia: sospetta che sia tutto un inganno e non riesce a immaginare in che modo sia coinvolta Lucia, lamentando il fatto che lo abbiano tenuto all'oscuro dei dettagli. Il curato prova pena per la ragazza e si rallegra che possa esser liberata, ma accusa anche lei in cuor suo di essere l'origine di tutti i suoi guai e vorrebbe poter leggere in cuore all'innominato per sapere come stanno realmente le cose, raccomandandosi infine al cielo.

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