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BFi numero 08 anno 3 file 26 di 28

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Butchered From Inside
 · 22 Aug 2019

  

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------------[ BFi numero 8, anno 3 - 30/04/2000 - file 26 di 28 ]-------------
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-[ MiSCELLANE0US ]------------------------------------------------------------
---[ i PADR0Ni DELLA RETE
-----[ Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it> ,
Vittorio Moccia <v.moccia@peacelink.it>


I PADRONI DELLA RETE
Un appello per la tutela del no-profit telematico

Carlo Gubitosa - <c.gubitosa@peacelink.it>
Vittorio Moccia - <v.moccia@peacelink.it>

Con una operazione da 60 miliardi, nei mesi a cavallo tra il 1999 e il 2000
Nicola Grauso ha comprato mezzo milione di indirizzi internet,
tra cui quelli corrispondenti a numerosi nomi e cognomi italiani. Questa
operazione e' stata possibile grazie alla deregulation avviata il
15 dicembre scorso dalla "Registration Authority" italiana, l'autorita' che
regola l'assegnazione dei "domini internet". Con la normativa approvata
dalla "Registration Authority" sono state autorizzate speculazioni
commerciali su vasta scala simili a quella di Grauso, ma le associazioni di
fatto e i singoli privi di partita iva non possono registrare piu' di un
indirizzo internet. Da qui una campagna "Per la tutela del no-profit in rete".

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Gia' nel 1994, il libro "Comunita' Virtuali" di Howard Reingold ha denunciato
il rischio di una deriva commerciale della comunicazione in rete: "Se le
organizzazioni commerciali assumono la gestione della Rete dalle istituzioni
pubbliche, chi vi avra' accesso e a chi sara' negato?" - si chiedeva Rheingold
nel suo libro - "Chi decidera' che cosa potranno dire e fare gli utenti della
Rete? Chi fara' da giudice in caso di disaccordo sul diritto di accesso o sul
comportamento telematico? Questa tecnologia e' stata sviluppata con denaro
pubblico. Deve esserci un limite alle tariffe che le aziende private possono
praticarci in futuro per farci pagare l'utilizzo di una tecnologia nata e
sviluppata con il denaro delle nostre tasse? (...) Ci sono buone probabilita'
che i grandi centri di potere politico ed economico trovino il modo di mettere
le mani anche sulle comunita' virtuali, come e' sempre accaduto in passato e
via via con i nuovi mezzi di comunicazione. La rete e' ancora in una
condizione di autonomia, ma non puo' rimanervi a lungo. E' importante quello
che sappiamo e facciamo ORA, perche' e' ancora possibile che i cittadini del
mondo riescano a far si' che questo nuovo, vitale strumento di dibattito resti
accessibile a tutti prima che i colossi economici e politici se ne approprino,
lo censurino, ci mettano il tassametro e ce lo rivendano. (...) Forse in
futuro gli anni Novanta verranno considerati il momento storico in cui la
gente e' riuscita, o non e' riuscita, a cogliere la possibilita' di controllo
sulle tecnologie comunicative".

Il "popolo delle reti", tuttavia, ha finora confidato nella natura anarchica
e libertaria della rete, e nella capacita' di autoregolamentazione delle
autorita' preposte al controllo e alla gestione delle infrastrutture di rete.
La "profezia" di Rheingold e' rimasta cosi' lettera morta fino al marzo 1998,
quando per la prima volta una grossa multinazionale tedesca ha deciso di
esercitare una indebita ingerenza sulle attivita' telematiche di una
associazione italiana di volontariato.
Si tratta della "Metro Commerciale Spa", a cui fanno capo, tra l'altro, i
negozi della catena "Vobis", una multinazionale che ha ritenuto opportuno
negare all'associazione culturale telematica "Metro Olografix", con sede a
Pescara, l'utilizzo del dominio www.metro.it, regolarmente registrato con le
opportune procedure. Legalmente, almeno in teoria, l'associazione avrebbe
potuto far valere i suoi diritti, ma solamente sostenendo le ingenti spese
legali necessarie per arrivare a una sentenza definitiva. Una operazione che
avrebbe richiesto diversi anni di logorante attesa, dal momento che la
Metro Spa aveva tutto l'interesse e le possibilita' economiche di trascinare
la questione il piu' a lungo possibile.

Con le attuali regolamentazioni in merito all'assegnazione degli indirizzi
internet, nel nostro paese il diritto di utilizzare l'indirizzo "metro.it"
non spetta a singoli cittadini di cognome "metro", ne' tantomeno all'ente
che stabilisce le unita' di misura, tra cui il metro, ma e' di fatto
attribuito alla Metro Commerciale SPA, l'unica organizzazione in grado di
poter dimostrare questo diritto a colpi di milioni, con un allenato commando
di avvocati. L'equivalente telematico della legge della giungla.

Questo tipo di controversie e' stato analizzato in dettaglio nel 1998, con
uno studio realizzato da Milton Mueller, direttore del Corso di Laurea in
Telecomunicazioni e Network Management della Syracuse University School nello
stato di New York.

"La nostra conclusione e' che i giudici spesso applicano male la legge, a
causa di una incomprensione della natura dei nomi di dominio e delle loro
caratteristiche economiche e tecniche", afferma Mueller. "Un altro problema
e' che i proprietari di marchi registrati sono il piu' delle volte entita'
grandi e potenti, che hanno a portata di mano abbondanti risorse legali,
mentre i loro avversari sono piccoli, senza esperienza e relativamente poveri.
I possessori di marchi registrati hanno potuto reclamare diritti di proprieta'
sui nomi di dominio che sono andati oltre i diritti che hanno con la
legislazione attuale".

Mueller ha studiato 121 controversie arrivate in tribunale, distinguendo tra
reali violazioni di marchi registrati, speculazioni sui nomi di dominio
(cybersquatting), conflitti tra compagnie con lo stesso nome e altri di
carattere politico. Il risultato della ricerca ha messo in evidenza come
l'ambito giuridico dei domini internet non sia lo stesso dei marchi
registrati, nonostante alcuni conflitti giuridici siano effettivamente
ricaduti in questa sfera. La conclusione e' che la maggioranza dei casi non
ricadono in nessuna normativa attuale, e che il risultato di questo vuoto
legislativo e' stato uno spostamento del potere legale verso le corporazioni
piu' grandi e con i migliori staff legali estendendo anche al "cyberspazio" i
diritti relativi ai marchi registrati.

Ma il potere dei grandi gruppi economici non si limita alla possibilita' di
estendere alla rete le regole valide per i marchi registrati: anche le regole
recentemente approvate nel nostro paese per l'assegnazione degli indirizzi
internet hanno modificato i "rapporti di forza" all'interno della rete a tutto
vantaggio dei soggetti economici.

Fino al 15 dicembre scorso, infatti, la normativa vigente consentiva la
registrazione di un solo indirizzo internet, e le sole organizzazioni
autorizzate alla registrazione erano i soggetti economici provvisti di partita
IVA, le associazioni di fatto e le associazioni dotate di partita IVA o codice
fiscale. Ai singoli cittadini privi di partita iva era negata qualunque
possibilita' di registrazione.

Il "ribaltone" delle regole del gioco e' avvenuto il 15 dicembre scorso, con
una liberalizzazione dei domini italiani promossa dalla Naming Authority
(l'organismo che stabilisce le regole di registrazione dei nomi associati agli
indirizzi internet). Una manovra che ha di fatto favorito unicamente i
possessori di Partita IVA, ovvero le attivita' commerciali che nei mesi scorsi
avevano chiesto a gran voce una "deregulation" nelle procedure di
registrazione. Con una liberalizzazione indiscriminata e discriminante, la
Naming Authority ha stabilito che le "associazioni di fatto" di cittadini ed
i "privati cittadini" sono da considerarsi una categoria di serie B rispetto a
chi svolga attivita' commerciali, lasciando in tal modo mano libera ai
"falchi" dotati di Partita IVA.

Le nuove norme approvate dalla Naming Authority prevedono che i singoli
cittadini sprovvisti di Partita IVA e le cosiddette "associazioni di fatto"
(semplici gruppi di cittadini privi di Partita IVA o codice fiscale) possano
registrare un solo indirizzo, mentre per le aziende, le associazioni o i
privati dotati di Partita IVA questa limitazione non esiste. La Partita IVA,
dunque, e' diventata l'unica discriminante in base alla quale stabilire se un
soggetto ha diritto alla registrazione di un unico indirizzo o puo' registrare
a suo nome un numero illimitato di indirizzi internet.

Attualmente per i possessori di Partita IVA non vi sono piu' vincoli, se non
l'impossibilita' di registrare domini con nomi di luoghi geografici; chi
arriva prima, pertanto, puo' accaparrarsi cio' che trova libero. Come se non
bastasse, per non "ostacolare" il lavoro della Registration Authority
italiana, l'ente nazionale preposto alla registrazione degli indirizzi
internet, dal 15 dicembre al 15 gennaio alle associazioni di fatto e' stata
bloccata la possibilita' di registrare domini .it, in modo da consentire alla
Registration Authority di smaltire piu' comodamente il fiume di richieste di
registrazioni commerciali pervenute dopo la liberalizzazione.

Ai privati cittadini e' stata negata, al pari delle associazioni di fatto,
la possibilita' di registrare il proprio dominio fino al 15 gennaio, e
nonostante nostre svariate sollecitazioni non e' stata introdotta nel nuovo
regolamento della Naming Authority nessuna norma che dissuadesse gli
accaparratori di domini (i famosi "squatters") dal fare incetta selvaggia di
nomi altrui.

Un vuoto legislativo che nei mesi scorsi ha permesso a Nicola Grauso di
registrare ben mezzo milione di indirizzi internet attraverso una rete di
societa' controllate, una pratica chiamata in gergo "cybersquatting", che si
traduce in un vero e proprio "sequestro di persona virtuale". Se il signor
mario rossi vorra' in futuro utilizzare l'indirizzo www.mariorossi.it dovra'
"pagare il riscatto" per liberare questo indirizzo internet "sequestrato" dal
signor Grauso. "Il minimo che potremo fare con questi domini sara' vendere a
ciascun 'mario rossi' un indirizzo di posta elettronica personalizzato" ha
affermato lo stesso Grauso in una intervista rilasciata il 17 febbraio a
"Punto Informatico".

Grauso ha operato, tramite la Poli srl, una vera e propria incetta di
indirizzi internet associati a nomi e cognomi dei cittadini italiani,
approfittando sia del "buco" di 30 giorni dal 15 dicembre al 15 gennaio, sia
dell'illimitato numero di domini registrabili per i possessori di Partita IVA.
Una operazione commerciale che ha di fatto impedito a molti liberi cittadini
di registrare per il futuro il proprio nome sotto forma di "dominio internet".
Su questa vicenda e' addirittura intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, con una raccomandazione del 25 gennaio, con cui si chiedeva di
"limitare al massimo le registrazioni ai casi in cui sia provato il titolo
all'uso di quello specifico nomecognome.it da parte del richiedente", una
raccomandazione nata presumibilmente sotto l'effetto di una esternazione del
sottosegretario all'Innovazione Stefano Passigli, che si era lamentato della
registrazione del dominio stefanopassigli.it rivendicandone la disponibilita'.
Tuttavia questo tipo di questioni e' ancora ben lontano dall'essere risolto:
ad esempio, a quale dei vari Stefano Passigli in Italia va attribuito il
"titolo all'uso" di quel dominio?

Sulla scia dell'iniziativa di Grauso, fiutando l'affare dei "domini internet"
(strumenti indispensabili per la visibilita' in rete delle aziende), una
schiera di operatori commerciali ha lettereralmente paralizzato l'attivita'
dell'ente nazionale di registrazione italiano, inondandolo di sacchi postali e
di fax di richieste (in Italia infatti, per registrare domini, e' necessario
sottoscrivere, da parte del registrante, una lettera di assunzione di
responsabilita' da inviare all'ente di registrazione).

In questa aberrante logica del profitto a tutti i costi, nella quale si
vengono a prefigurare maggiori diritti di taluni cittadini a discapito di
altri, sembra svanire ogni rispetto e considerazione per la cultura, per
l'associazionismo non profit, realta' che fino ad ora hanno conferito alla
rete il vero valore aggiunto in termini di contenuto ed utilita' sociale.
La Registration Authority non ha finora favorito in alcun modo
l'associazionismo non profit culturale e di volontariato, cosa che avrebbe
potuto fare tramite agevolazioni economiche sul costo dei domini.

Inoltre, imponendo modalita' di pagamento dei domini e politiche dei prezzi
contorte e vetuste, ha nella pratica impedito ai cittadini deboli di
registrare domini direttamente presso l'ente stesso, costringendoli a
rivolgersi ai provider Maintainer: questi ultimi stabiliscono, con totale
potere di arbitrio, il prezzo finale dei domini, a loro venduti dalla
Registration, ad un prezzo relativamente basso.

E' ancora tutta da giocare la "battaglia" per affermare anche in rete la
parita' di diritti tra persone prive di partita iva e soggetti economici, una
battaglia che l'operazione eclatante di Grauso ha messo in evidenza solo oggi,
ma che ha avuto inizio nel 1998, quando l'associazione di volontariato
dell'informazione "PeaceLink", ha lanciato la campagna "per la tutela del
no-profit in rete", con l'obiettivo di tutelare i privati e le associazioni di
volontariato che rischiano di essere penalizzate dall'attuale regolamentazione
in materia di assegnazione degli indirizzi internet.

Lo scopo di questa campagna e' l'approvazione di nuove regole per la
registrazione di nomi di dominio, in maniera da mettere sullo stesso piano
giuridico tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto di possedere o meno
una partita iva. I promotori della campagna ritengono inoltre che per uno
sviluppo equilibrato e pluralista della rete sia importante l'affermazione del
carattere di ente pubblico della "Registration Authority" (RA), che
sovraintende all'assegnazione dei nomi di domino. La RA, infatti, in quanto
emanazione del CNR (ente a finanziamento pubblico), e' essa stessa un ente a
carattere pubblico, e in quanto tale avrebbe, almeno in teoria, il dovere di
garantire e tutelare in rete la crescita di inizative culturali ed in
particolare l'associazionismo no-profit con finalita` di volontariato o
umanitarie, assicurando, ad esempio, la registrazione gratuita dei nomi di
dominio alle associazioni.

Purtroppo la realta' delle cose e' ancora ben lontana dalla teoria, e
attualmente le "Authority" italiane somigliano molto di piu' ad una struttura
privata che ad un servizio pubblico. A conferma di cio' va detto che lo
statuto della Naming Authority non prevede attualmente alcuna presenza
obbligatoria di rappresentanti di Enti pubblici, reti civiche o associazioni
nel comitato esecutivo di questo organismo.

Il 4 luglio 1999 l'associazione PeaceLink aveva lanciato un appello ai
responsabili della Naming Authority: "(...) abbiamo denunciato pubblicamente e
piu' volte la propensione commerciale mostrata da almeno due anni dalla
Registration Authority. L'ente suddetto si occupa della registrazione dei
domini internet italiani, e, nonostante la sua forte connotazione pubblica,
ha, a nostro avviso, piu` volte calpestato il diritto alla visibilita` in rete
dei gruppi deboli, il non profit associazionistico e culturale. (...) Troviamo
estremamente ingiuste discriminazioni dei cittadini basate sulla "Partita
IVA"; riteniamo doverosa la tutela delle entita' deboli della rete Internet
(associazioni non profit, gruppi culturali, etc); ci sorprendiamo nel
constatare che perfino agli enti pubblici venga riservato dalla Naming
Authority un trattamento di 'serie B'". Un appello reso ancora piu' attuale e
urgente dall'approvazione di queste nuove regole, o meglio di questa nuova
assenza di regole.

Queste vicende confermano ancora di piu' le paure di quanti temevano una
trasformazione dell'informazione telematica e dell'internet in una piattaforma
commerciale globale. E' l'evidente segnale di un impoverimento culturale che
tende a far diventare la Rete un imponente ipermercato telematico, segnandone
il passaggio da strumento di interazione attiva e partecipativa, a nuovo
televisore multimediale, tramite il quale l'attivita' del cittadino si riduca
alla semplice scelta del prodotto da acquistare sul mega portale del momento.

La spregiudicata operazione commerciale di Grauso puo' essere a questo punto
una buona occasione per rilanciare una forte campagna "per la tutela del
no-profit in rete", un punto di partenza per l'affermazione di nuovi diritti
che rendano i cittadini uguali tra loro, non solo di fronte alla legge, ma
anche di fronte allo schermo del computer, e indipendentemente dalla loro
Partita IVA.

Carlo Gubitosa
Segretario Associazione PeaceLink
<c.gubitosa@peacelink.it>

Vittorio Moccia
Responsabile campagna sulla tutela del non profit in rete
<v.moccia@peacelink.it>

Per saperne di piu' e per aderire alla campagna promossa da PeaceLink:
http://www.peacelink.it/tutelarete
email: nonprofit@itb.it


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