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Oggi in architettura si ha paura di sperimentare

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Published in 
Architecture
 · 9 Apr 2022
Complesso scolastico Concetto Marchesi, attuale Istituto di Istruzione Superiore Santoni, realizzato
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Complesso scolastico Concetto Marchesi, attuale Istituto di Istruzione Superiore Santoni, realizzato, Pisa (1976), progetto Luigi Pellegrin.

Oggi in architettura si ha paura di sperimentare (o non è concesso?), i nuovi progetti, specie quelli che sostituiscono o stratificano l’esistente, sono codardi, cercano di esaurirsi nell’efficienza energetica o sicurezza sismica, che invece devono semplicemente essere solo concetti da porre alla base dell’innovazione spaziale.

In foto: Complesso scolastico Concetto Marchesi.

Questo progetto rappresenta l’apice della ricerca architettonica italiana in tema di scuola, ad opera di un architetto che ne ha progettate e realizzate nel corso della sua carriera più di 300 in tutto il mondo.


(Testo critico a cura dell’arch. Marco Pipolo)
<<Questa piccola storia di architettura ha radici nell’immediato Secondo Dopoguerra; inizia precisamente nel 1949, quando il Ministero della Pubblica Istruzione promuove un concorso di idee in cui chiama gli architetti e gli ingegneri del tempo a misurarsi con il progetto di una nuova scuola tipo. Il bando ha per titolo “concorso per le scuole all’aperto” ed invita esplicitamente i partecipanti a trasgredire le regole, cioè a non prendere in considerazione i regolamenti allora vigenti in materia di edilizia scolastica.

Non può sfuggire il nesso con la volontà dell’Italia di allora di cambiare, di rompere i legami con il recente passato e di sovvertire le anguste prospettive nazionaliste ed autoritarie sostenute dal regime fascista. Le norme tecniche che regolavano l’edilizia scolastica, infatti, risalivano al 1923: l’anno del varo della riforma Gentile. L’attenzione del bando è invece rivolta ai recenti risultati ottenuti dalla ricerca internazionale sia in campo architettonico che pedagogico. L’obiettivo è di fondere in un nuovo organismo l’istanza spaziale dell’architettura con un nuovo modo di concepire l’insegnamento e l’apprendimento, proprio della pedagogia.

Il progetto vincitore è firmato dal giovane architetto Ciro Cicconcelli, classe 1920, con lui lo spazio da “metrico” diventa “spazio psicologico”: è lo studente che deve essere al centro della ricerca del nuovo spazio scolastico; è lo spazio scolastico che deve adattarsi alle diverse attività che ospita e all’età degli alunni. A questo proposito Cicconcelli teorizza l‘unità funzionale: dove ci tiene a specificare nella relazione che fa del suo progetto durante il IV Congresso Internazionale di Edilizia Scolastica e Istruzione del 1949, per funzione bisogna intendere “psicologicamente funzionale”. L’unità funzionale è una sorta di cellula base dell’organismo edilizio.

Le sue caratteristiche fondamentali sono:

  • la forma a padiglione, molto semplice più o meno quadrata
  • ospitare non più di sei ambienti di cui cinque per le attività e uno di distribuzione;
  • la possibilità di generare aggregazioni libere con altre unità funzionali dello stesso tipo e realizzare, quindi, organismi più articolati.

Da un punto di vista formale l’unità funzionale perde tutti gli elementi che fino ad allora avevano ordinato gli edifici scolastici: la scalinata di ingresso, il porticato, il corridoio e la successione seriale delle aule; non è rappresentativo di un potere o di una istituzione del potere, bensì, è uno spazio al servizio della società, pronto ad essere vissuto e possibilmente pronto ad essere aumentato, rimodulato e cambiato con il passare del tempo.

L’impegno di Cicconcelli non termina con il progetto dell’unità funzionale ma nel 1952 promuove la creazione di un Dipartimento all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione: il Centro Studi per l’Edilizia Scolastica con l’incarico di redigere le nuove Norme Tecniche per la progettazione di edifici scolastici. Parallelamente Cicconcelli cura la pubblicazione dei Quaderni del Centro Studi dove vengono divulgati i migliori progetti di scuole realizzati in tutto il mondo. Le norme tecniche tarderanno ad essere operative, la loro approvazione avverrà solo nel 1976, nel frattempo saranno proprio i Quaderni a sopperire alla mancanza di un nuovo corpo legislativo, costituendosi come una sorta di manuale per la progettazione di una scuola moderna: l’era della sperimentazione è di fatto aperta, avviata e imprevedibile. Talmente imprevedibile che nel 1959 l’architetto Ludovico Quaroni, classe 1911, progetta nel quartiere Canton Vesco a Ivrea su commissione proprio di Adriano Olivetti una scuola elementare costituita da tre nuclei base di forma quadrata dove, addirittura, oltre gli spazi per la didattica, trovano posto anche dei negozi.

Agli inizi degli anni 60 il boom economico e demografico, nonché le massicce migrazioni verso le città introducono un fattore nuovo: la necessità di realizzare nel minor tempo possibile il maggior numero di scuole con l’obiettivo di garantire per tutti gli edifici uguali caratteristiche di qualità costruttive. Si apre così la stagione dell’industria delle costruzioni: si tenta, cioè, di trasformare il ciclo edilizio da tradizionale ad industriale attraverso la prefabbricazione. A questi vantaggi si contrappone però il rischio, congenito nella prefabbricazione, di generare edifici dalla geometria semplificata e ripetitiva, edifici poco attenti, quindi, al contesto in cui sarebbero sorti e poco generosi nel soddisfare i complessi requisiti spaziali che le nuove e ambiziose Norme Tecniche, a mano a mano che si definivano, prevedevano per l’edilizia scolastica.

In questa situazione storico e culturale, inasprita e arricchita dalle contestazioni e dalle rivendicazioni sociali della fine degli anni 60 è indetto a Pisa nel 1970 un Concorso Internazionale per la progettazione di un complesso scolastico. L’obiettivo è realizzare un liceo scientifico e un istituto per geometri. Il luogo deputato è compreso tra la città esistente e le nuove aree di espansione edilizia della città. La giuria del concorso è presieduta da Bruno Zevi storico fondatore dell’APAO (Associazione Per l’Architettura Organica). Vince, quindi, il progetto di Luigi Pellegrin, classe 1920, nato in Francia da genitori friulani ma naturalizzato italiano. La proposta è fortemente innovativa sotto molti punti di vista. Pellegrin, infatti, concepisce un organismo complesso in cui oltre le due sedi scolastiche, previste ai piani superiori dell’edificio, inserisce una serie di funzioni che possono, anzi che devono, essere utilizzate e frequentate da tutta la comunità. Come la scuola di Quaroni anche la scuola di Pisa è multifunzionale; come la scuola di Cicconcelli anche il Concetto Marchesi è una scuola aperta: al suo interno ci sono spazi a disposizione per le associazioni di quartiere, un bar, una biblioteca, una sala conferenze, una mensa, una palestra e una piscina. Ogni spazio, che ospiti o meno una funzione, è spazio disponibile: non ci sono recinzioni o ostacoli alla circolazione delle persone, sembra quasi che sia lo spazio esterno ad appropriarsi dello spazio interno, contrariamente a quello che avviene quando si costruisce un edificio. Al piano terra, per esempio, l’ingresso principale è costituito da un grande porticato che da accesso ad una piazza interna di forma rettangolare e verso la quale si affacciano i servizi di quartiere c’è posto anche per un piccolo arengario dove organizzare riunione spontanee autogestite. Anche il progetto degli spazi esterni segue il criterio della disponibilità, perfino il solaio di copertura che, parte dalla quota zero del marciapiede per poi salire inclinata fino al terzo piano ed ultimo piano dell’edificio, prevede una passeggiata sul tetto.

Dal punto di vista costruttivo, Pellegrin, pur affidandosi al sistema della prefabbricazione non cade nel rischio di semplificazione. Il montaggio degli elementi è libero, anche il loro utilizzo è libero, tanto che adotta sistemi strutturali tipici delle costruzioni autostradali. Al contrario dell’Unità funzionale di Cicconcelli la scuola di Pellegrin non lavora per aggregazione di nuclei semplici, ma indaga le geometrie complesse. Il progetto diventa, nello stesso tempo, architettura di invenzione spaziale e sociale.

Ma come accade alla locomotiva di Guccini anche il Concetto Marchesi ben presto incontra la sua linea morta. La costruzione del Complesso Scolastico inizia nel 1972 e termina nel 1976. La realizzazione viene mal gestita e mal diretta dagli uffici tecnici preposti al controllo dei lavori e ben presto iniziano a manifestarsi problemi di infiltrazioni di acqua, dovuti all’inadeguato sistema di impermeabilizzazione della copertura. Successivamente si tenta di ovviare al problema montando degli orrendi pannelli metallici, che comunque non risolvono del tutto il problema. Si avviano, così, una lunga serie di lavori correttivi che in maniera graduale ed inesorabile sovvertono completamente il progetto originario di Pellegrin, ad esempio: per questioni di sicurezza, si chiudono tutti gli accessi e si realizza la completa recinzione dell’area di pertinenza della scuola; gli spazi interni riservati alle attività didattiche vengono divisi da pannelli in cartongesso senza prevedere l’opportuna insonorizzazione. Più in generale, si trascurano tutti i lavori di manutenzione ordinaria per mantenere in efficienza l‘edificio. Il degrado continua al punto che nel 2009 la Provincia ne dispone la demolizione. Fortunatamente, anche se malandato, il Concetto Marchesi è ancora lì grazie soprattutto all’apporto decisivo della cittadinanza e del mondo accademico. Ma quella del salvataggio fa parte di un’altra storia che non racconterò: vi basti la notizia che se volete, magari attraverso la maglia fitta delle recinzioni, è ancora possibile vederlo.

La storia del Concetto Marchesi è la storia di un’epoca, appena trascorsa, in cui si poteva immaginare un futuro sicuramente migliore. Così penso alla libera passeggiata sul tetto del Concetto Marchesi e di come anche il cielo può diventare uno spazio disponibile e frequentabile.

Chiudo la piccola storia di architettura con le parole dello stesso Pellegrin, scritte nel 2000 un anno prima della sua morte: “Forse hanno vinto gli uccelli che hanno capito che abitare il pianeta era più degno e salubre se era appoggiarsi part time, coabitando terra e cielo. Non ho modo per risolvere il dubbio, ho solo modo di esercitarmi per assomigliare agli uccelli”.>>

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