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Cronache ribelli: la morte di Elisabetta II

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Published in 
Diario di un viaggio che boh
 · 14 Sep 2022
Cronache ribelli: la morte di Elisabetta II
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Di fronte alla morte di Elisabetta II chi, come Ascanio Celestini, ha espresso delle critiche nei confronti del cordoglio mediatico unanime è stato oggetto di una feroce campagna di accuse.

Francamente, oltre a esprimere solidarietà ad Ascanio per gli attacchi ricevuti, ci sembra interessante analizzare questo fenomeno di santificazione collettiva che investe personaggi come Elisabetta.

Elisabetta II è stata una persona di potere. Qualcuno, coraggiosamente, in mezzo al mare magnum di encomi ha ricordato le ombre (per usare un eufemismo) della sua reggenza. In particolare sarebbe bene non dimenticare quando insignì dell’Ordine dell’Impero Britannico Derek Wilford, ufficiale che guidava i paracadutisti britannici nel corso del Bloody Sunday del 1972, quando i soldati di Sua maestà uccisero 14 innocenti civili irlandesi.

Ma più a parte questi eventi, ciò che non ci sorprende ma continua ad allarmarci profondamente è l’empatia e la prossimità emozionale che milioni di persone provano nei confronti di un soggetto con cui banalmente non hanno nulla in comune.

Elisabetta II, anche indipendentemente dalla valutazione che si da della sua reggenza, è una delle ultime persone al mondo a godere della possibilità di accedere per diritto di sangue ad un ruolo istituzionale e agli annessi privilegi. Privilegi che, soprattutto poiché sono stati acquisiti per diritto di nascita, dovrebbero farci quantomeno inorridire.

Insomma la sua vita non ha nulla a che vedere con la nostra, con quella di chi per sopravvivere deve lavorare, spesso duramente e senza tutele e diritti.

Se sentiamo più empatia per la morte di un monarca quasi centenario piuttosto che per chi muore sul lavoro o in mezzo al mare, per chi vive condizioni di indigenza, per chi non ha accesso alle cure, per chi è vittima di violenza poiché appartiene a un gruppo discriminato, per chi sta al nostro fianco nella comunità in cui viviamo, dobbiamo farci delle domande. E soprattutto dobbiamo comprendere quanto la descrizione dei media fanno della realtà, e l’attenzione totalizzante che riservano alle figure di potere, schiacci il nostro immaginario su una posizione precisa. La posizione dei sudditi appunto, magari non più dal punto di vista formale ma sempre e comunque da quello sostanziale.

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