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IL SALUTO DELLE AQUILE

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Published in 
LEGGENDE SARDE
 · 8 Oct 2022
IL SALUTO DELLE AQUILE
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Legati alla loro vecchia e selvaggia terra, alle loro antiche abitudini e al loro fiero orgoglio, i Sardi che abitavano l' interno dell' isola rifiutavano di sottomettersi all' impero di Roma. I fratelli della costa, dopo battaglie lunghissime e un' eroica resistenza, avevano dovuto accettare la legge e la dominazione della Città Eterna; ma ogni tentativo fatto dalle aquile romane per raggiungere il cuore della Sardegna era stato sempre valorosamente respinto. La gente di Roma era solita chiamare barbare, o " barbaricine", queste ostinate popolazioni, la cui viva forza, il cui fiero coraggio erano veramente degni di misurarsi con la forza e il coraggio dei potenti conquistatori.
Non ci arrenderemo mai ! - gridavano tutti: i vecchi, i giovani, i fanciulli ; perciò di quei romani furono vane le promesse,vane le minacce, vane soprattutto le aggressioni.
Roma non dava tregua a questi solitari eroi dall' anima accesa d' amore per la propria sfortunata terra. Anche i fanciulli condividevano con fervore lo sdegno, l' ardore e la risolutezza dei padri. Sentivano, come fossero adulti, che la libertà è la più nobile ricchezza, l' unico bene per il quale diventa sacro combattere.
Un giorno questi adolescenti audaci decisero di riunirsi in un campo vicino al paese; erano venti, trenta, forse anche quaranta ragazzi fra i dieci e i quindici anni; non di più. Li aveva radunati un giovane coraggioso, Elias si chiamava, ed era il figlio del pastore più autorevole di quel piccolo centro della Barbagia. Aveva, Elias, un animo battagliero e veemente. Così, infatti, parlò ai suoi compagni : - Amici, vogliamo dare una durissima lezione ai Romani, nostri nemici? Io so che molti soldati sono giunti nell' isola ; volete voi dunque venire con me, questa notte, a combatterli e a sconfiggerli? Sarà una battaglia gloriosa per noi, ne sono certo. Ma è necessario, però, che nessuno venga a conoscenza di questa nostra risoluzione altrimenti, è certo, i nostri padri ci vieterebbero di metterla in atto! -
I ragazzi si entusiasmarono : - Difenderemo la nostra terra, stanotte ! -
Benissimo! - si compiacque Elias- quando la luna sarà alta nel cielo dirigetevi verso la vecchia quercia; io vi attendero` là ! -
Quei piccoli uomini guardarono fermamente il loro capitano fanciullo, e splendeva sui volti di tutti una volontà consapevole e fiera. - Verremo, non dubitare ! - dissero quei piccoli eroi.
Mantennero la parola : tutti ! Erano armati di bastoni e di lance, e cavalcavano destrieri agili e nervosi, impazienti e focosi come i loro giovani padroni. La luna li guardava dall' alto, enorme e gialla, e un usignolo intonava la sua dolce canzone, che pareva volerli salutare.
Un vecchissimo pastore, dall' alto di una rupe, assistette alla singolare scena. Intuì immediatamente il folle intendimento dei fanciulli, e trepido` per essi. Volle provarsi ad arrestare quella corsa pericolosa e assurda ; la sua voce era fredda e pallida come la luce della luna : - Fermatevi ragazzi ! Non andate !
Fermatevi, per amor del cielo, fermatevi ! -
Ma non lo udivano, non potevano udirlo.
Ormai la notte apparteneva a quei giovani audaci. - Fermatevi ! - proseguiva il vecchio pastore. Ma il destino non si può fermare ; i cavalli già galoppavano veloci sotto la luce argentata della luna, e presto quei coraggiosi ragazzi non si videro più. Il pastore restò solo e disperato come un naufrago su di una barca alla deriva.
Non ritorneranno ! - pensò tristemente il vecchio, e chiuse gli occhi per potersi meglio raccogliere in una meditazione profonda e amara. Quel suo segreto gli pesava sul cuore come un macigno, gli bruciava l' anima come una fiamma. Nel breve spazio sottostante alla rupe riposava, ignaro, il piccolo gregge.
Per la prima volta, nella sia vita lunghissima, il pastore abbandonò le bestie amiche.
Svegliò tutti, in paese : svegliò i mercanti, svegliò gli artigiani, svegliò i pastori, svegliò le donne ; tutti si levarono, colmi di pena.
Qualcuno addirittura non volle credere subito. Ma come ? I ragazzi muovevano contro la gente di Roma ? No, impossibile !
Ma dov' erano i ragazzi? E i cavalli? I fischi e gli urli di richiamo si levarono sino alla luna, ma non ottennero risposta alcuna.
Erano proprio andati ; erano andati a combattere ! Il piede pesante del nemico li avrebbe schiacciati come tante formiche.
Le donne piangevano, invocavano disperatamente i loro figli, che forse non avrebbero mai più riveduto ; gli uomini invece dicevano : Andiamo a vendicare i nostri piccoli e innocenti eroi. Roma scorgerà , guardandoci, il volto terribile e implacabile della vendetta ! -
Mancavano i cavalli, però, e muovere a piedi contro l' esercito romano parve a tutti, ovviamente, cosa assai irragionevole. Un uomo fece una proposta : si mandassero dei giovanotti di gambe veloci a domandare aiuto ai fratelli sparsi sull' altopiano. Ma si pensò giustamente che, causa la grande distanza, sarebbe trascorso troppo tempo prima che quelli avessero potuto soccorrerli.
Venne così l' alba, e gli uomini non riuscivano proprio a mettersi d'accordo ; l' ansia e la pena toglievano loro la capacità di pensare con lucida rassegnazione alla migliore decisione da prendersi. Fu Mattia, il padre del giovane condottiero Elias, a vincere finalmente le indecisioni : - Andiamo - disse in tono di comando- è inutile indugiare ancora. Avviamoci, e se incontreremo la morte, noi sapremo salutarla con coraggio e con serenità ! -
Mossero così, vecchi e giovani, verso la terribile avventura. Innanzi a tutti marciava Mattia e dietro a lui, in melanconico silenzio, camminavano i valorosi compagni. Più di tre ore durò la loro fatica sugli aspri percorsi dell' altopiano ; furono tre ore di lenta agonia, tre ore lunghissime. Quando a un tratto, improvvisamente, una voce ruppe l' angoscioso silenzio come un lampo nelle tenebre : - Allarme, eccoli che arrivano ! -
Era infatti apparsa all' orizzonte, in una gran nuvola di polvere, una moltitudine di cavalieri armati fino ai denti. Forse i Romani, non soddisfatti di aver impartita una durissima lezione ai figli, muovevano adesso a offendere i padri. Ed erano Romani, infatti, gli impavidi cavalieri in arrivo ; ma, incredibile a dirsi, recavano con essi, incolumi, tutti gli eroici fanciulli. Portavano ancora le loro armi : bastoni e lance. Li accompagnavano soldati a cavallo che reggevano, su lucide aste, il segno glorioso della loro grande città : l' aquila. Quelle aquile brillavano, splendide, nel sole.
I fieri uomini di Sardegna si fermarono. I cavalli romani avanzavano con nobile calma ; a pochi.metri di distanza, dove si arrestarono.
Dall' alto del suo splendido cavallo bianco un uomo di Roma, quello che pareva il capo, così parlò : - Abbiamo voluto riconsegnare all' affetto delle proprie famiglie questi ragazzi valorosi benché essi, questa notte, venissero con l' intenzione di aggredirci. Ma Roma non fa la guerra ai fanciulli ; essi così fieri e audaci, perciò noi li rispettiamo ! -
Si vide, allora, una cosa assai strana. I barbari, o "barbaricini", coloro i quali nessuna promessa e nessuna minaccia avevano potuto piegare, levarono le braccia verso i gloriosi segni della potenza romana. E non la morte salutarono, ma quelle aquile fulgide.
In questo modo le popolazioni barbare, o " barbaricine", venerarono la Città Solare e furono di questa, nel volgere dei secoli, i figli più leali e più gloriosi.

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