Stiamo correndo troppo?
Stiamo correndo troppo?
Più volte negli ultimi giorni ci è capitato di dire che “settembre è stato un anno molto impegnativo”, e abbiamo scoperto che si tratta di una sensazione condivisa. Abbiamo ricevuto centinaia e centinaia di messaggi di questo tenore.
È come se, per reazione, stessimo tutti andando velocissimo per recuperare il tempo perso negli ultimi due anni.
Il problema, però, è che in questo modo rischiamo di sprecare davvero un doppio tempo: quello passato, cioè l'esperienza di questo lungo periodo di incertezza che non sappiamo valorizzare, e quello presente, che si riempie costantemente di stimoli asfissianti.
Per l’ansia collettiva di recuperare il tempo perduto, in sostanza, ne stiamo perdendo altro ancora. Lo stiamo rendendo invivibile, ingestibile, incapace di produrre soddisfazione. Sommiamo i doveri e i progetti di ieri a quelli di oggi, gli eventi e i lavori, dimezzando in questo modo il senso e il piacere.
Non c'è da sentirsi in colpa ma da osservare, perché si tratta di un movimento collettivo, una spinta reciproca che facciamo gli uni verso gli altri, in modo spesso inconsapevole.
Forse questa accelerazione è dovuta alla paura che la vita sia breve, eppure Seneca ammoniva già i propri contemporanei nel 49: non è vero che abbiamo poco tempo; il problema, piuttosto, è che ne perdiamo tantissimo.
Qualche mese fa su Il Post Alessandro Baricco aveva scritto: "Non so perché, e non mi interessa saperlo, ma, credetemi, sono passati cinque anni in uno. Come in un racconto di Philip K. Dick, s’è formata una crepa temporale e lì dentro abbiamo vissuto cinque anni in uno. Dunque, vorrei avvertirvi, siamo nel 2025".
Il punto resta sempre lo stesso: che senso ha avere più tempo se non si sa abitarlo? Un tempo esteso pieno di ansie e privo di soddisfazioni, non è forse un tempo infernale?