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L’avventura del carbonchio azzurro

Titolo originale: The Adventure of the Blue Carbuncle (1892)

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Avventure di Sherlock Holmes
 · 13 Aug 2017
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Illustrations by Sidney Paget (1892).
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Illustrations by Sidney Paget (1892).

Natale era trascorso da due giorni quando andai a far visita al mio amico Sherlock Holmes: volevo porgergli gli auguri per il nuovo anno. Lo trovai che oziava sul divano, avvolto in una veste da camera color porpora con un reggipipe a portata di mano da un lato e dall’altro una pila di giornali spiegazzati evidentemente consultati da poco.
Accanto al divano c’era una sedia con un cappello di feltro sdrucito e consunto appeso alla spalliera e un paio di pinze chirurgiche e una lente di ingrandimento sul ripiano imbottito che, pensai, dovevano esser state usate per esaminare a fondo il cappello in questione.
«Siete occupato?» chiesi. «Vi ho forse interrotto?»
«No, affatto. Mi fa sempre piacere avere a disposizione un amico con cui discutere i risultati delle mie ricerche. Il soggetto è senz’altro insignificante» e Holmes indicò il vecchio cappello malconcio, «ma possiede qualcosa di interessante, direi addirittura di istruttivo.»
Mi sedetti su una poltrona accanto al fuoco per scaldarmi le mani; la giornata era freddissima, dall’esterno delle finestre pendevano innumerevoli ghiaccioli, e dissi:
«Suppongo che, nonostante l’aspetto innocuo, quel vecchio cappello sia collegato a qualche truce storia, magari è la chiave per condurre alla soluzione di un mistero o addirittura alla punizione di un delitto.»
Sherlock Holmes rise.
«Oh, no, niente delitti. Si tratta solo di uno di quei piccoli, bizzarri incidenti che accadono quando milioni di esseri umani lottano tra di loro nello spazio angusto di poche miglia quadrate. E tra le azioni e le reazioni di questa umanità formicolante si possono individuare una quantità di situazioni interessanti, magari strane e singolari ma non certo criminose. Abbiamo già avuto esperienze del genere, se ben ricordate.»
«Eccome» confermai. «Tanto che degli ultimi sei casi da me annotati nel mio diario, tre non avevano niente a che fare con crimini e delitti.»
«Giusto. Voi alludete certo al tentativo di recuperare i documenti di Irene Adler, al caso singolare della signorina Mary Sutherland e all’avventura dell’uomo con il labbro storto. Bene. Io non ho dubbi che la vicenda del cappello andrà ad aggiungersi alla stessa innocente categoria. Conoscete Peterson, il fattorino, mio caro Watson?»
«Sì.»
«Questo trofeo gli appartiene.»
«Il cappello è suo?»
«No, no, lui l’ha trovato, ma il vero proprietario è sconosciuto. Vi prego, amico
mio, osservatelo non come un qualsiasi oggetto banale ma, piuttosto, come una sfida all’intelletto. Prima di tutto vi spiegherò in che modo è arrivato qui. È stato la mattina di Natale e l’ho avuto insieme a una bella oca grassa che sicuramente, in questo
momento, sta arrostendo in casa Peterson. E ora, i particolari. La notte della vigilia Peterson, una brava persona onesta e corretta, stava rientrando a casa dopo aver passato qualche ora in allegria con degli amici e percorreva Tottenham Court Road. Davanti a sé, alla luce dei fanali, vide un uomo alto dall’andatura traballante con un’oca bianca che gli penzolava da una spalla. All’angolo di Goodge Street costui venne circondato da un gruppetto di giovinastri che presero a infastidirlo. Uno gli fece volar via il cappello che cadde a terra. Allora l’uomo alzò il bastone per difendersi e mentre lo faceva ruotare sopra la testa disgrazia volle che mandasse in pezzi la vetrina di un negozio alle sue spalle. Peterson si era lanciato generosamente in avanti per proteggere lo sconosciuto dalla marmaglia, ma quello, già spaventato per aver rotto la vetrina, vedendo accorrere un individuo in uniforme si spaventò ancora di più; lasciò cadere l’oca e scappò a gambe levate scomparendo nel dedalo di vicoli a ridosso della Tottenham Court Road. Anche i suoi persecutori erano fuggiti all’arrivo di Peterson, così il nostro fattorino rimase padrone del campo di battaglia e delle spoglie di guerra, vale a dire un cappello logoro e una grassa oca natalizia.»
«Che sicuramente avrà restituito al legittimo proprietario, immagino.»
«Amico mio, qui sta il problema. È vero che l’oca aveva legato alla zampa sinistra un cartoncino con la scritta: “Per la signora di Henry Baker” ed è anche vero che sulla fodera del cappello erano stampate due iniziali: “H.B.”, ma siccome qui a Londra esistono alcune migliaia di Baker e diverse centinaia di Henry Baker, non era certo una cosa facile rintracciare la persona giusta.»
«E allora, che cosa fece Peterson?»
«La mattina di Natale mi portò sia l’oca che il cappello, sapendo che a me anche dei fatti insignificanti possono interessare. L’oca è rimasta qui fino a stamattina, fino a quando cioè, segni indubbi ci hanno fatto capire che, nonostante il gelo, si rendeva necessario mangiarla subito. Peterson l’ha portata via e, come ho già detto, a quest’ora si sarà già trasformata in un succulento arrosto, e io ho trattenuto il cappello dello sconosciuto personaggio che lo perse insieme al suo pranzo di Natale.»
«Non avete cercato di rintracciarlo tramite un annuncio sui giornali?» «No.»
«Avete forse qualche indizio per stabilirne l’identità?»
«Solo poche deduzioni.»
«Tratte da questo cappello?»
«Proprio così.»
«Via, Holmes, voi scherzate! Che cosa si può tirar fuori da un vecchio feltro consunto?»
«Ecco qua la lente d’ingrandimento. Voi che conoscete i miei metodi, che cosa riuscite ad acquisire sulla personalità dell’uomo che ha usato questo cappello?»
Presi in mano l’oggetto in questione, lo girai e rigirai da tutte le parti con attenzione. Era un comune cappello nero a bombetta, logoro per l’uso prolungato. La fodera un tempo doveva esser stata rossa ma ora il raso era molto scolorito. Non c’era il nome del fabbricante ma, come Holmes mi aveva anticipato, si intravedevano, tracciate a penna, le iniziali H.B. La falda era stata forata per farvi passare un elastico, ma l’elastico mancava. Il feltro era polveroso e macchiato in diversi punti e là dove il colore si era corroso qualcuno aveva tentato di ravvivarlo passandovi sopra dell’inchiostro.
«Io non vedo niente di speciale» dissi restituendo il cappello.
«Al contrario, Watson, ci si può leggere una quantità di cose. Siete voi che non riuscite a trarre delle conclusioni, forse per la mancanza di fiducia in voi stesso.»
«Allora, per favore, Holmes, ditemi che cosa ci vedete voi, in questo banale copricapo.»
Lui lo prese e lo fissò con quello sguardo acuto, penetrante, che è una sua caratteristica.
«Forse non invita gran che alla meditazione» osservò, «però offre diverse deduzioni, più o meno evidenti. Per esempio, il proprietario deve essere un uomo di grande valore intellettuale che, fino a circa tre anni fa, doveva trovarsi in buone condizioni finanziarie. Poi credo abbia subito un rovescio di fortuna. Un tempo accorto e prudente, le sue qualità sono poi degenerate e questo, considerando anche il declino della sua fortuna, deve averlo portato a bere. Questo spiegherebbe perché sua moglie non lo ama più.»
«Mio caro Holmes...»
«Quest’uomo, tuttavia» proseguì Holmes, senza tener conto della mia interruzione, «mantiene ancora un certo rispetto di sé. Conduce una vita abitudinaria, esce raramente, è piuttosto fiacco, di mezza età, ha capelli brizzolati che si è tagliato pochi giorni fa e che unge di brillantina. Questi sono gli indizi più evidenti che si possono trarre dal cappello in questione. Ah, aggiungerei anche che di sicuro il nostro sconosciuto ha una casa priva di impianto a gas.»
«Volete scherzare, Holmes?»
«No, affatto. Ed è mai possibile, Watson, che dopo esser venuto a conoscenza tramite mio di tutti questi particolari, non arrivate a capire in che modo li ho scoperti?»
«Be’, sarò uno stupido, ma confesso che non riesco a seguire i vostri ragionamenti. Per esempio, come avete dedotto che il proprietario del cappello ha un alto quoziente di intelligenza?»
Per tutta risposta Holmes si calcò in testa il cappello che gli scese fino alla radice del naso.
«È una questione di capienza» disse. «Un uomo con un cervello così grosso non può non essere intelligente.»
«E come spiegate il tracollo finanziario?»
«Questo cappello è vecchio di almeno tre anni: fu circa tre anni fa, infatti, che la moda lanciò le tese piatte e arricciate ai bordi come questa. Ed è anche un cappello di ottima qualità, lo dimostrano il nastro di seta e la splendida fodera. Se il nostro sconosciuto tre anni fa poteva permettersi un cappello tanto costoso e in seguito non ne ha più comprati altri, questo significa che deve aver disceso molti gradini della scala sociale.»
«Be’, sì, la spiegazione è convincente. Ma per quel che riguarda la degenerazione dell’accortezza, come la mettiamo?»
Sherlock Holmes scoppiò a ridere.
«Ecco qui» disse, indicando il dischetto con l’asola per un elastico fermacappello. «Questa roba non viene mai venduta insieme ai cappelli. Chi ne ordina uno non può che essere una persona accorta e prudente che non vuol essere presa alla sprovvista da un colpo di vento inatteso. Ma siccome l’elastico manca e non è stato sostituito, ciò significa che il proprietario non ha più l’accortezza di un tempo e che, di conseguenza, il suo carattere si è indebolito, ma non al punto da annientare ogni senso di dignità: infatti si è sforzato di nascondere le macchie e le scoloriture più evidenti impiastricciandole di inchiostro.»
«Un ragionamento plausibile, sì.»
«E passiamo al resto. Basta osservare attentamente la parte inferiore della fodera per dedurre che è di mezza età, che ha i capelli brizzolati cosparsi di brillantina e tagliati da poco. La lente rivela una quantità di peluzzi tagliati dalle forbici del barbiere che emanano un odore abbastanza forte e aderiscono bene alla fodera. La polvere sul feltro, inoltre, non è quella grigia e sabbiosa delle strade, ma piuttosto quella scura, soffice delle case. Dunque il cappello è rimasto appeso a lungo in un’anticamera. All’interno invece ci sono delle chiazze di umidità a dimostrazione che l’uomo suda molto e, di conseguenza, non è in buone condizione di salute.»
«Ma sua moglie... avete detto che sua moglie non lo ama più...»
«Il cappello non è stato spazzolato da settimane. Quando, mio caro Watson, vi vedrò con un dito di polvere sul cappello, quando vostra moglie permetterà che ve ne andiate in giro in uno stato simile, allora sarò certo che la vostra armonia coniugale è gravemente compromessa.»
«L’uomo in questione potrebbe essere scapolo.»
«No. Tornava a casa portando l’oca come dono di pace a sua moglie. Avete dimenticato il cartellino attaccato alla zampa del volatile?»
«Oh, Holmes, avete una risposta per ogni cosa. Un’ultima domanda: come avete arguito che nella casa non c’è impianto a gas?»
«Una sgocciolatura di sego, due anche, possono essere un caso. Ma se ne trovo cinque, allora non c’è dubbio: il nostro uomo usa la candela, salendo in camera sua, la sera, probabilmente con il cappello in una mano e la candela sgocciolante nell’altra. Quindi, in casa sua non esiste impianto a gas. Giusto?»
«Molto ingegnoso» ammisi ridendo. «Ma non avete sprecato un po’ troppo del vostro ingegno, Holmes? In fondo non c’è stato nessun delitto, a meno che non si possa considerare un delitto la perdita dell’oca natalizia.»
Sherlock Holmes stava per replicare quando la porta si spalancò e Peterson irruppe nella stanza rosso in viso e con una espressione sbalordita.
«L’oca, signor Holmes... l’oca!» balbettò.
«Che cosa è successo, Peterson? È resuscitata volando via dalla finestra della cucina?» chiese Holmes, girandosi sul divano per osservare più agevolmente il nuovo arrivato.
«Guardate, signore, guardate che cosa mia moglie ha trovato nel gozzo!»
Il fattorino tese la mano: al centro del palmo c’era una pietra azzurra, scintillante, grossa poco più di un fagiolo, di una purezza e luminosità straordinarie che risaltavano ancor più contro la pelle di quella mano scura e callosa.
Holmes si rizzò a sedere e si lasciò sfuggire un fischio.
«Per Giove, Peterson, questo è un autentico tesoro! Vi rendete conto dell’importanza di quello che avete trovato?»
«Certo! Ho trovato un diamante, una pietra preziosa. Taglia il vetro come se fosse stucco.»
«È molto più che una pietra preziosa. È la pietra preziosa per eccellenza.»
«Non sarà per caso il carbonchio azzurro della contessa di Morcar!» farfugliai. «Proprio quello. Ne ho letto la descrizione, grandezza, forma, colore, sul Times qualche giorno fa. È una gemma assolutamente unica e il suo valore può essere stabilito solo approssimativamente; la ricompensa di mille sterline a chi lo ritroverà rappresenta forse la ventesima parte della valutazione effettiva.»
«Mille sterline! Misericordia divina!»
E il fattorino si lasciò cadere su una sedia, fissando alternativamente, con aria inebetita, sia me che Holmes.
«La ricompensa offerta è quella, ma credo che, per ragioni sentimentali, la contessa sarebbe disposta a pagare molto di più pur di riavere il carbonchio azzurro.»
«Se non mi sbaglio» intervenni, «la gemma scomparve dal Cosmopolitan Hotel.»
«Sì, esattamente cinque giorni fa, il 22 dicembre. E del furto venne accusato un idraulico, un certo John Horner: le prove contro di lui erano così schiaccianti che il caso è stato deferito in Assise. Devo avere da qualche parte la cronaca dell’accaduto.»
Holmes si mise a frugare tra la pila di giornali scorrendone le date, poi ne sfilò uno, lo aprì e lesse il paragrafo che lo interessava.
“Furto di gioielli all’Hotel Cosmopolitan. John Horner, idraulico ventiseienne è stato accusato il 22 dicembre di aver sottratto dal portagioielli della contessa di Morcar una gemma di valore inestimabile nota come ‘carbonchio azzurro’; James Ryder, il sovrintendente dell’albergo, ha dichiarato di aver introdotto Horner nello spogliatoio della contessa, il giorno del furto, per una riparazione all’impianto. Ha testimoniato inoltre di essere rimasto qualche tempo con l’idraulico, poi, chiamato per un’altra incombenza, di averlo lasciato solo. Al suo ritorno Horner era scomparso, la scrivania era stata forzata e il piccolo astuccio di marocchino dove, come si è saputo in seguito, la contessa custodiva il gioiello, giaceva aperto e vuoto sul tavolo da toeletta.
Ryder ha dato l’allarme e l’idraulico è stato arrestato quella sera stessa ma la pietra non è stata ritrovata né su di lui né nella sua abitazione.
Catherine Cusack, cameriera personale della contessa, ha affermato di aver udito il grido di sgomento del sovrintendente quando questi ha notato la sparizione del gioiello e di essere accorsa nella stanza immediatamente. L’ispettore Bradstreet della divisione B ha deposto a sua volta riguardo all’arresto di Horner. Costui oppose una violenta resistenza e altrettanto violentemente si proclamò innocente. Siccome il suddetto idraulico è già stato precedentemente incarcerato per furto, il magistrato ha deferito il fatto alla Corte d’Assise. Horner, che durante lo svolgimento dell’inchiesta appariva agitatissimo, alla fine è svenuto ed è stato trasportato fuori dall’aula del tribunale a braccia.”
«Ecco, questo è quel che riguarda l’inchiesta» disse Holmes con aria pensosa deponendo il giornale. «Il problema che ci interessa ora è capire in che modo un gioiello rubato all’Hotel Cosmopolitan sia finito nel gozzo di un’oca smarrita in Tottenham Court Road. Avete visto, Watson? Quelle che poco fa consideravamo delle innocenti elucubrazioni, hanno assunto improvvisamente un aspetto assai meno innocente. Ecco qui la pietra; la pietra viene dall’oca e l’oca viene dal signor Henry Baker il proprietario del cappello delle cui caratteristiche vi ho parlato a lungo. Ora dobbiamo metterci in caccia di questo signore per accertare quale parte abbia avuto nella faccenda. Cominceremo con il sistema più semplice, un annuncio su tutti i giornali della sera. Se non funziona, escogiterò qualcos’altro.»
«In quali termini redigerete l’annuncio?»
«Una matita e un foglio di carta, per favore. Allora, vediamo... “Trovata all’angolo di Goodge Street un’oca e un cappello di feltro nero. Il signor Henry Baker può riavere entrambi gli oggetti richiedendoli al 221 B di Baker Street alle 18,30 questa sera stessa.” Chiaro e conciso, no?»
«Molto. Ma credete che l’interessato leggerà l’annuncio?»
«Be’, di sicuro un’occhiata ai giornali la darà, visto che per un pover’uomo come lui la perdita dev’essere stata pesante. È probabile che, sul momento, sconvolto per la rottura della vetrina e l’arrivo di Peterson, abbia pensato solo a scappare, ma in un secondo tempo si sarà pentito amaramente di aver abbandonato l’oca. E, caso mai lui non leggesse il giornale, lo farà pure qualche suo vicino, magari al corrente della disavventura. Per favore, Peterson, correte alla più vicina agenzia pubblicitaria e ordinate di far pubblicare questo annuncio sui giornali della sera.»
«Quali, signore?» chiese il fattorino.
«Oh, sul Globe, sullo Star, sul Pall Mall, sul St. James Gazette, sull’Evening News, sullo Standard e sull’Echo... e su quanti altri vi vengano alla mente.»
«Bene, signore. E il gioiello?»
«Lo terrò io, per ora. Ah, un momento, Peterson... sulla via del ritorno comprate una bella oca grassa e portatela qui, bisognerà pur risarcire quel pover’uomo dell’oca che in questo momento la vostra famiglia starà gustando.»
Quando il fattorino se ne fu andato, Holmes prese la pietra e la osservò a lungo controluce.
«È splendida» disse. «Guardate come scintilla, Watson! È naturale che susciti intenzioni delittuose. Accade sempre così quando ci sono di mezzo pietre di un simile valore. Sono l’esca preferita del demonio! Nei gioielli più antichi e famosi direi che ogni sfaccettatura rispecchia un episodio sanguinoso. Questo carbonchio non ha neanche vent’anni, fu scoperto nella Cina meridionale in riva al fiume Amoy e ha tutte le caratteristiche del carbonchio, salvo una, quella che lo rende tanto prezioso: è azzurro invece che rosso rubino. E, nonostante sia, come dire, giovane, ha già una storia sinistra. Ci sono stati due omicidi, un avvelenamento, un suicidio e diversi furti per il possesso di questi quaranta grammi di carbone cristallizzato. Chi mai penserebbe che una cosetta così graziosa sia diventata una fornitrice di prigioni e patiboli? Ora la chiuderò in cassaforte e poi scriverò un biglietto alla contessa per avvertirla che è in mano mia, a sua disposizione.»
«Che cosa pensate Holmes? Che quell’Horner sia innocente?»
«Non saprei dirlo.»
«E Baker? Può avere qualche connessione con il furto?»
«Chissà; io credo che quel pover’uomo sia del tutto innocente; probabilmente, non aveva il minimo sospetto che la sua grassa oca valesse un patrimonio. Tutto questo riuscirò a scoprirlo mediante una prova semplicissima se avremo una risposta all’annuncio che ho fatto pubblicare sui giornali.»
«E fino ad allora non si può fare niente?»
«No.»
«Allora, nel frattempo, io continuerò il mio giro di visite, ho degli ammalati che mi
aspettano. Ma tornerò verso le sei e mezzo, perché vorrei proprio vedere la soluzione di questo intricatissimo affare.»
«Sarò lieto di rivedervi, Watson. Io ceno alle sette e stasera ci sarà arrosto di gallo cedrone. A proposito, in vista di quello che è accaduto con l’oca, voglio consigliare alla signora Hudson di guardare bene il contenuto delle interiora.»
La visita a un mio paziente andò per le lunghe più del previsto ed erano le sei e mezzo passate quando imboccai Baker Street. Avvicinandomi alla casa di Holmes notai un uomo alto con un berretto scozzese e un pastrano abbottonato fino al collo, fermo nel cono di luce che proveniva dalla lunetta sopra la porta. Proprio mentre stavo arrivando la porta si aprì e salii nella stanza di Holmes fianco a fianco con lo sconosciuto.
«Voi siete il signor Henry Baker, immagino» disse il mio amico alzandosi dalla poltrona e salutando il visitatore con la consueta, signorile cordialità. «Sedetevi accanto al fuoco, vi prego. Fuori fa freddo, stasera, e, se non sbaglio, la vostra circolazione funziona meglio in estate che in inverno. Bravo Watson, siete arrivato giusto in tempo. Signor Baker, questo cappello vi appartiene?»
«Sì, sì, è proprio il mio, signore!»
L’uomo era alto e massiccio, con le spalle un po’ curve, un viso largo, intelligente, coronato da una barbetta brizzolata, a punta. Un sottile reticolo di venuzze sul naso e le guance, un lieve tremito delle mani mi confermò che Holmes aveva visto giusto circa la sua abitudine al bere. Il cappotto nero a coda di rondine era consunto, con il colletto rivoltato, i polsi ossuti sporgevano dalle maniche senza traccia di polsini o camicia. Parlava a voce bassa, articolando bene le parole che sceglieva con cura; insomma, dava l’impressione di un uomo colto e intelligente maltrattato dalla sorte.
«Abbiamo trattenuto questo oggetto per qualche giorno» riprese Holmes, «con la speranza di leggere sui giornali un vostro annuncio al riguardo che ci fornisse il vostro indirizzo. Perché non lo avete fatto?»
Lo sconosciuto rispose con aria imbarazzata.
«Gli scellini sono diventati preziosi a casa mia, signore. Inoltre, pensavo che quella banda di canaglie si fosse impadronita del cappello oltre che dell’oca, e allora, che senso aveva sperare di recuperare quello che era mio?»
«Certo, certo. Ah, per quel che riguarda l’oca, signore, be’, siamo stati costretti a mangiarla.»
L’ospite si alzò a metà dalla sedia in preda a una viva emozione. «L’avete mangiata!» esclamò.
«Se non l’avessimo utilizzata, sarebbe stata da buttare, però spero che quell’oca là, sulla credenza, più o meno dello stesso peso della vostra e freschissima, per giunta, vi ripaghi della perdita.»
«Sì, certo» disse il signor Baker, visibilmente sollevato.
«Naturalmente, dell’altra abbiamo tenuto da parte le penne, le zampe, il gozzo e tutte le interiora. Se volete riaverli indietro...»
Baker scoppiò a ridere.
«E perché mai? Per tenerli forse in ricordo della mia avventura? No, grazie, signore. A me basta quello splendido volatile che vedo sulla credenza.»
Sherlock Holmes mi lanciò un’occhiata in tralice e scosse leggermente la testa, poi si rivolse all’ospite con un sorriso:
«Prendete pure il cappello e l’oca. E, ditemi, a proposito, dove avete acquistato quest’ultima? Io sono un buongustaio e raramente mi è capitato di mangiarne una tanto saporita.»
Prima di rispondere, Baker afferrò l’oca e se la mise sottobraccio.
«Certo, certo, signore. Dovete sapere che io, insieme a un gruppetto di amici, sono un frequentatore della locanda Alpha, quella vicina al Museo; bene, quest’anno il nostro simpatico oste ha creato il “club dell’oca”; vale a dire che, sborsando pochi centesimi alla settimana, ciascuno di noi aveva diritto a un’oca per Natale. Io ho dato regolarmente il mio contributo e poi... il resto della storia lo conoscete. Vi sono veramente grato per avermi restituito il cappello, signore; un berretto scozzese non era certo l’ideale né per i miei anni, né per la mia dignità.»
Detto questo, il nostro ospite ci salutò con un inchino un tantino pomposo e se ne andò.
Holmes chiuse la porta alle sue spalle e disse:
«E con questo, Baker è sistemato. È evidente che non ha niente a che fare con la vicenda. Avete appetito, Watson?»
«Non particolarmente.»
«Allora che ne dite di rimandare la cena e di seguire la pista finché è calda?» «D’accordo.»
La serata era freddissima. Rialzammo i baveri dei cappotti e ci avvolgemmo delle pesanti sciarpe di lana intorno al collo. Nel cielo le stelle splendevano limpide e lontane, l’alito si rapprendeva in candide nuvolette di vapore, i nostri passi risuonavano secchi e decisi sul selciato delle strade semideserte. In poco più di un quarto d’ora eravamo a Bloomsbury, davanti alla locanda Alpha. Entrammo, ci sedemmo e Holmes ordinò all’oste, un tipo dalla faccia rossa e lucida, due boccali di birra.
«Se è buona come le vostre oche» gli disse «sarà senz’altro eccellente.»
L’oste gli lanciò un’occhiata perplessa.
«Le mie oche, signore?»
«Già. Ne parlavo proprio poco fa con il signor Henry Baker che, a quanto mi ha detto, è socio del “club dell’oca”.»
«Ah, sì, capisco. Ma quelle non sono le nostre oche, signore!» «Davvero? E allora, di chi sono?»
«Be’, le ho comprate da un rivenditore di Covent Garden. Due dozzine.»
«Ce ne sono molti, di rivenditori di oche, da quelle parti. Voi a chi vi siete rivolto?»
«A un certo Breckinridge.»
«Ah, non lo conosco. Bene, alla vostra salute, padrone, e alla prosperità della vostra locanda.»
Bevemmo in fretta e uscimmo abbottonandoci i cappotti nell’aria gelida.
«E ora, subito da quel Breckinridge» disse Holmes. «Non dimentichiamo che se da una parte abbiamo un animale da cortile, un’oca, appunto, dall’altro capo della catena c’è un uomo che rischia una mezza dozzina d’anni ai lavori forzati se non riusciamo a dimostrare la sua innocenza. Può darsi che la nostra inchiesta ne confermi invece la colpevolezza, comunque noi possediamo un filo conduttore che è sfuggito alla polizia giungendo nelle nostre mani per pura combinazione e che aspetta solo di essere sfruttato. Perciò non perdiamo tempo.»
Non ne impiegammo molto per giungere al mercato di Covent Garden. Uno dei chioschi di vendita più importanti esibiva l’insegna di Breckinridge e il proprietario, un tale dalla faccia cavallina incorniciata da lunghe basette, stava aiutando un commesso a chiudere i battenti.
«Salve, serata fredda, eh?» esordì disinvoltamente Holmes.
Il negoziante gli lanciò un’occhiata interrogativa, poi annuì senza aprire bocca. «Vedo che avete venduto tutte le vostre oche» riprese Holmes, indicando le lastre di marmo spoglie.
«Posso procurarvene cinquecento domattina, signore.»
«Domattina non mi servono più.»
«Allora rivolgetevi a quel chiosco laggiù con la lampada a gas.»
«Già, ma a me hanno raccomandato proprio voi e nessun altro.»
«Chi è stato?»
«Il proprietario dell’Alpha.»
«Sì, ricordo, gliene ho mandate due dozzine.»
«Splendidi animali. Da chi ve li siete procurati?»
Con mia grande sorpresa, quella domanda fece esplodere la collera del negoziante.
Con le mani sui fianchi, la testa inclinata minacciosamente di lato, apostrofò Holmes: «Allora, signore, dove volete andate a parare? Parlate chiaro, senza tanti raggiri!» «È semplice: mi piacerebbe sapere da chi avete comprato le oche che poi sono state mandate all’Alpha.»
«E io non ho nessuna intenzione di rivelarvelo. Perciò, fuori dai piedi.»
«Be’, pazienza, ha poca importanza. Però non capisco perché vi riscaldiate tanto.» «Oh, vi riscaldereste anche voi, signore, se foste perseguitato come me! Ho pagato buoni soldi per un buon articolo e la cosa dovrebbe finire qui, non vi sembra? E invece... “dove sono le oche?”, “a chi le avete vendute?”, “quanto ci avete guadagnato?”... Verrebbe da pensare che le mie siano le sole oche al mondo, a giudicare dal chiasso che hanno suscitato!»
«Be’, io non ho niente da spartire con quelli che sono venuti a farvi domande prima di me» replicò Holmes con noncuranza. «Se non volete rivelarmi dove vi siete procurate le oche, pazienza. Il fatto è che, siccome mi vanto di essere un buon conoscitore di quel tipo di volatile, avevo scommesso che quello in questione proveniva da un allevamento di campagna.»
«Allora, signore, avete perso la scommessa. A quanto ammontava?»
«A cinque sterline.»
«Cinque sterline buttate al vento. Quell’oca è stata allevata in città» replicò con
asprezza il negoziante.
«Non ci credo.»
«E io vi assicuro che è la verità.»
«È impossibile.»
«Ehi, dico, volete intendervene più di me che ho maneggiato oche fin da
bambino?»
«Non riuscirete mai a convincermi!»
«Vogliamo scommettere, allora?»
«Mi sembra di derubarvi, tanto sono convinto di aver ragione, ma, tanto per
insegnarvi a non essere tanto ostinato, scommetto una sovrana.»
Il negoziante sogghignò e disse, rivolto al garzone:
«Bill, portami i registri.»
Il ragazzo andò a prendere un sottile blocco da appunti e un voluminoso libro
mastro e li posò su un ripiano sotto la luce diretta della lampada.
«Guardate qua, signor presuntuoso» sbottò il negoziante. «Credevo di aver venduto
tutte le oche e invece mi accorgo che ce n’è rimasta disponibile ancora una. Vedete questo blocco da appunti?»
«Sì. E allora?»
«Contiene la lista dei miei fornitori. Ecco: su questa pagina sono elencati quelli di campagna e i numeri corrispondenti ai loro nomi sono segnati sul libro mastro, insieme ai conti che li riguardano. E ora guardate quest’altra pagina, scritta in inchiostro rosso: è la lista dei fornitori di città. Vedete questo nome? Leggetelo ad alta voce.»
«Signora Oakshott, 117, Brixton Road, 249» lesse Holmes.
«Bene. Ora cercate il nome sul libro mastro.»
«Signora Oakshott, 117 Brixton Road, fornitrice di uova e pollame.» «Continuate a leggere: qual è stata la sua ultima fornitura?» «Vediamo... il 22 dicembre. 24 oche a sette scellini e sei pence.» «Bene. E poi, che altro c’è scritto?»
«Vendute al signor Windigate dell’Alpha a dodici scellini» compitò Holmes.
«Che cosa avete da dire, ora?»
Con aria visibilmente delusa, Sherlock Holmes tirò fuori di tasca una sovrana, la
gettò sulla lastra di marmo e uscì dal negozio con atteggiamento di chi è troppo arrabbiato per discutere oltre. Percorsi pochi metri, si fermò sotto il lampione e fece una delle sue caratteristiche risatine soffocate.
«Lo sapevo che quel tizio dalle lunghe basette avrebbe abboccato» disse. «Se gli avessi offerto cento sterline, non mi avrebbe dato mai e poi mai informazioni così precise come invece ha fatto quando gli ho proposto una scommessa. Bene, Watson, credo che stiamo avvicinandoci al termine delle nostre ricerche. Resta solo da stabilire se convenga andare dalla signora Oakshott stasera stessa o rimandare a domani. Da quel che ci ha detto quel negoziante ci sono altre persone, oltre a noi, interessate alla cosa e penso che...»
Un vocio confuso proveniente dal chiosco che avevamo appena lasciato lo costrinse a interrompersi. Ci girammo di scatto e vedemmo un ometto dalla faccia pallida e aguzza in piedi al centro del cerchio di luce giallastra della lampada mentre Breckinridge, il negoziante, sulla porta, lo minacciava con i pugni serrati. Tendendo le orecchie riuscimmo a captare le loro parole.
«Ne ho abbastanza di voi e delle vostre oche» gridava il negoziante. «Vorrei che ve ne andaste tutti al diavolo. Se continuate a tormentarmi con queste stupide chiacchiere vi aizzerò contro il cane. Portate qui la signora Oakshott e le risponderò, ma voi che volete? Ho forse comprato le oche nel vostro allevamento?»
«No, ma una di quelle oche mi apparteneva» affermò l’ometto in tono lamentoso. «E allora parlatene con la signora Oakshott.»
«La signora mi ha detto di chiederlo a voi.»
«Per quel che mi riguarda, potete anche andare a chiederlo al re di Prussia. Ora ne
ho abbastanza, fuori da qui!»
Pronunciando queste ultime parole, il negoziante fece minacciosamente un passo
avanti e l’ometto se la svignò nell’oscurità.
«Bene, tutto questo può risparmiarci la prevista visita in Brixton Road» sussurrò
Holmes. «Seguitemi, Watson, e vediamo se è possibile ricavare qualcosa da quel tale.»
A grandi passi il mio amico superò i gruppetti di gente che stazionavano davanti ai chioschi illuminati, raggiunse l’ometto e gli mise una mano sulla spalla. Quello sobbalzò, si volse, e alla luce del lampione a gas notammo che era diventato pallidissimo.
«Chi siete? Che cosa volete, signore?» chiese con voce tremante.
«Dovete scusarmi» disse Holmes cortesemente, «ma non ho potuto fare a meno di udire le domande che avete rivolto a quel negoziante e ho pensato che forse potrei esservi d’aiuto.»
«Voi? E chi siete? Come potete sapere qualcosa della faccenda?»
«Mi chiamo Sherlock Holmes e il mio mestiere è quello dì sapere ciò che gli altri non sanno.»
«Ma voi non potete assolutamente sapere niente di questa storia.»
«E invece so proprio tutto. State cercando di rintracciare alcune oche che sono state vendute dalla signora Oakshott di Brixton Road a un negoziante di nome Breckinridge il quale a sua volta le ha cedute al proprietario della locanda Alpha, il signor Windigate. Il signor Windigate le ha rivendute ai soci del suo club di cui il signor Henry Baker è socio.»
L’ometto spalancò le braccia.
«Ah, signore, voi siete proprio la persona che fa al caso mio!» esclamò. «Non potete neanche immaginare quanto tutto questo mi interessi!»
Con un gesto della mano Holmes fermò una carrozza che passava e disse:
«In tal caso sarà meglio discutere in una stanza comoda e calda invece che in questa piazza esposta a tutti i venti. Ma prima vorrei sapere con chi ho il piacere di parlare.»
L’ometto ci lanciò un’occhiata di traverso ed esitò un attimo di troppo prima di rispondere:
«Mi chiamo John Robinson.»
«No, no, io voglio sapere il vostro vero nome, non mi piace trattare affari con degli sconosciuti» replicò Holmes, amabilmente.
L’ometto arrossì violentemente.
«Be’... ecco, il mio vero nome è James Ryder.»
«Proprio così. James Ryder sovrintendente al Cosmopolitan. Prego, salite in
carrozza e vi dirò subito quello che vi interessa tanto sapere.»
L’ometto guardò prima Holmes poi me con un’aria a metà spaventata e a metà
speranzosa e, finalmente, si decise a salire in carrozza.
Mezz’ora dopo eravamo nel salottino di Baker Street. Durante la corsa nessuno
aveva aperto bocca ma il respiro affannoso dell’ometto, il tremito delle sue mani, dimostravano quanto fosse teso e nervoso.
«Eccoci qua» disse allegramente Holmes mentre entravamo nella stanza. «Avete un’aria intirizzita signor Ryder, prego, sedetevi in quella poltroncina accanto al fuoco. Col vostro permesso, metterò le pantofole prima di dare inizio alla nostra chiacchierata. Dunque, vorreste sapere che ne è stato di quelle oche, vero?»
«Sì, signore.»
«O per essere più precisi, a voi ne interessa una sola, una bestia bianca con una striscia nera sulla coda?»
Per l’emozione, Ryder addirittura tremava. «Sì, sì! Potete dirmi dove è andata a finire?» «Qui.»
«Qui?»
«Certo. E ha dimostrato di essere una bestia straordinaria, non mi stupisco che vi interessi tanto. Dopo che era morta ha fatto un uovo, il più bello, il più straordinario uovo azzurro che io abbia mai visto. L’ho qui nel mio museo.»
Il nostro visitatore balzò in piedi e con la mano destra si aggrappò alla mensola del caminetto. Holmes aprì la cassaforte e ne estrasse il carbonchio azzurro che scintillava come una stella emanando una luce fredda, stupenda. Ryder lo fissò con aria tesa, combattuto tra la voglia di riconoscerlo e il far finta di niente.
«Il gioco è finito, Ryder» disse Holmes, calmissimo. «Non agitatevi troppo, altrimenti finirete nel fuoco. Watson, aiutatelo a sedersi, non ha abbastanza sangue nelle vene per comportarsi impunemente da delinquente. Dategli un sorso di cognac. Così, ecco, adesso ha ripreso un aspetto umano, un minuto fa sembrava un gambero lesso, garantito.»
E aveva proprio ragione, Ryder per un attimo era stato sul punto di cadere, ma il liquore riportò un po’ di colore sulle sue guance e gli permise di tornare a sedersi, lo sguardo spaventato fisso sul suo accusatore.
«Ho già in mano quasi tutti gli anelli della catena» esordì Holmes «tutte le prove necessarie, perciò avrete ben poco da aggiungere. Tuttavia, anche quel poco servirà a far luce sull’accaduto.
Voi avete sentito parlare del carbonchio azzurro della contessa di Morcar, vero Ryder?»
«È stata Catherine Cusack a parlarmene» rispose l’uomo con voce appena percettibile.
«La cameriera della contessa, certo. E la tentazione di una grande ricchezza a portata di mano è stata troppo forte per voi; non è la prima volta che accade. Solo che, Ryder, non avete badato tanto per il sottile riguardo ai mezzi da usare e vi siete comportato da autentico mascalzone. Sapevate che quell’idraulico, Horner, aveva già avuto a che fare con la giustizia e che perciò i sospetti sarebbero subito ricaduti su di lui. E allora che fate? Con la complicità della cameriera lo chiamate a fare una piccola riparazione nella stanza della contessa e, non appena se ne è andato, vuotate l’astuccio dei gioielli, date l’allarme e quel disgraziato innocente viene arrestato. Poi...»
D’improvviso Ryder si buttò a terra, abbracciò le ginocchia di Holmes e gridò:
«Vi supplico, abbiate pietà di me, in nome di mio padre e di mia madre che morirebbero di dolore! Non ho mai commesso niente di disonesto prima d’ora e non ci proverò mai più, ve lo giuro sulla Bibbia! Oh, per carità, non portatemi in tribunale! Non fatelo, per amor di Dio!»
«Tornate a sedervi» gli intimò severamente Holmes. «È facile ora piagnucolare e pentirsi, ma se tutto fosse andato liscio non avreste avuto un pensiero al mondo per quell’innocente chiuso in prigione a causa vostra.»
«Fuggirò, signor Holmes, lascerò l’Inghilterra. Così tutte le accuse contro di lui cadranno!»
«Be’, di questo parleremo in un secondo tempo. Prima c’è qualcosa da chiarire. Per esempio, in che modo il gioiello è finito nel gozzo dell’oca? In che modo quell’oca è finita al mercato? Diteci tutta la verità, perché solo una confessione completa può salvarvi.»
Ryder passò la punta della lingua sulle labbra aride.
«Vi racconterò tutto, signor Holmes. Ecco come è andata. Quando Horner venne arrestato pensai che la prima cosa da fare fosse sbarazzarmi del gioiello. La polizia avrebbe potuto perquisirmi oppure frugare nella mia stanza e nell’albergo non c’erano nascondigli sicuri. Così, con il pretesto di una commissione da sbrigare uscii immediatamente e corsi da mia sorella che ha sposato un certo Oakshott e abita in Brixton Road dove ha impiantato un allevamento di animali da cortile. Per tutta la strada, qualsiasi uomo che incontravo mi sembrava un poliziotto e, per quanto la notte fosse freddissima, ero in un bagno di sudore. Arrivato a destinazione, mia sorella, vedendomi pallido da far paura, mi chiese che cosa avessi; le risposi che ero sconvolto per il furto avvenuto nell’albergo. Poi andai nel cortile, accesi la pipa e mi misi a riflettere sulle mie prossime mosse. Che fare?
Una volta avevo un amico, un certo Maudsley che aveva preso una brutta strada e aveva da poco finito di scontare una condanna a Pentovillet. Un giorno ci eravamo incontrati e lui mi aveva parlato dei metodi dei ladri, di come riuscivano a sbarazzarsi della refurtiva scottante. Sapevo di poter contare su di lui perché ero a conoscenza di certe cose che lo riguardavano e decisi di andare subito a trovarlo a Kilburn, dove abita, e raccontargli tutto: mi avrebbe indicato il modo giusto per convertire il gioiello in denaro contante. Ma come giungere fino a lui senza correre rischi? Ripensavo alle angosce terribili sofferte durante il tragitto fino a casa di mia sorella
quando avrebbero potuto fermarmi, perquisirmi e trovare la pietra nella tasca del mio panciotto. Appoggiato al muro del cortile fumavo nervosamente e osservavo le oche che starnazzavano intorno a me quando mi balenò un’idea grazie alla quale avrei potuto sfuggire al più scaltro dei poliziotti.
Qualche settimana prima, mia sorella mi aveva offerto una delle sue oche come regalo di Natale, e lei è una brava donna che mantiene sempre le promesse. Bene: avrei preso subito l’oca che mi spettava, le avrei fatto ingoiare la pietra e avrei portato entrambe, senza alcun pericolo, fino a Kilburn. C’era un capannone nel cortile; ci attirai il volatile più bello e grasso, con le piume tutte bianche salvo una striscia nera sulla coda; lo afferrai, e gli infilai il carbonchio azzurro in gola più profondamente che potei. L’oca deglutì e sentii la pietra passare dall’esofago nel gozzo; d’un tratto, però, si mise a starnazzare forte, a dimenarsi e fece tanto di quel chiasso che mia sorella uscì a vedere quel che succedeva. Mi girai per risponderle e la dannata bestia riuscì a sfuggirmi di mano e corse via, mischiandosi alle altre.
“Che cosa stavi facendo?” chiese mia sorella.
“Be’“ risposi “mi avevi promesso un’oca in regalo, per Natale, e ne cercavo una bella grassa.”
“Te ne abbiamo già messa da parte una, James, da tempo. È quella laggiù, tutta bianca, così grassa che a stento cammina. La chiamiamo sempre ‘l’oca di James’, figurati. Ne abbiamo tirate su ventisei: una per te, una per noi e le altre due dozzine per il mercato.”
“Grazie, Maggie” risposi “ma se per te fa lo stesso preferirei quella che avevo già preso.”
“L’altra pesa almeno tre libbre di più” replicò Maggie “e l’abbiamo ingrassata espressamente per te.”
“Non importa, l’altra mi piace di più; la porto via subito” dissi, deciso.
Mia sorella era stizzita.
“Come vuoi. Quale hai scelto, allora?”
“Quella bianca con una striscia nera sulla coda. È là, vedi? In mezzo al gruppo.” “Ah, bene. Uccidila e portala via.”
Feci come lei diceva, signor Holmes e portai l’oca a Kilburn senza problemi. Al mio amico raccontai tutto nei minimi particolari, è una persona di cui ci si può fidare, e lui rise fino alle lacrime. Poi prendemmo un coltello e squartammo l’oca. Mi sembrò che il cuore si fosse trasformato in ghiaccio: nelle interiora non c’era traccia della pietra, per quanto cercassimo. Fu allora che capì di aver commesso un errore madornale: dal gruppo non avevo scelto la bestia giusta! Col fiato mozzo tornai precipitosamente da mia sorella, entrai nel cortile... ma le oche erano scomparse. Tutte.
“Dove sono finite, Maggie?” urlai. E lei, stupita:
“Dal rivenditore, no?”
“Quale rivenditore?”
“Un certo Breckinridge, al mercato di Covent Garden.”
“Oltre a quella che avevo scelto io ce n’era un’altra con una striscia nera sulla coda?”
“Sì, certo, ed erano talmente identiche che neanch’io riuscivo a distinguere l’una dall’altra.”
Dunque avevo visto giusto! Con le ali ai piedi corsi da Breckinridge, ma lui aveva già venduto tutte le bestie e non volle dirmi a chi. Tentai e ritentai più volte, ma la risposta era sempre la stessa. Quell’uomo è terribilmente testardo, lo avete sperimentato anche voi, signori. Mia sorella crede che io sia impazzito ad accanirmi tanto per un’oca. A volte lo penso anch’io, credetemi. E ora... ora, ho il marchio di ladro senza neanche aver avuto la soddisfazione di sfiorare quella ricchezza per la quale mi sono rovinato la reputazione. Che Dio abbia pietà di me!»
Ryder si nascose il viso tra le mani e scoppiò in singhiozzi convulsi.
Ci fu una lunga pausa di silenzio rotta solo dal suo affannoso ansimare e dal tamburellare delle dita di Holmes sul piano del tavolo. Poi il mio amico si alzò e andò ad aprire la porta.
«Fuori!» disse.
«Come, signore? Oh, che il cielo vi benedica!»
«Niente ringraziamenti: fuori!»
Non ci fu bisogno di dire altro. Sentimmo i passi di Ryder echeggiare sulle scale,
poi in strada, sempre più ovattati e lontani finché non svanirono del tutto.
«Dopo tutto, Watson» disse Holmes, allungando la mano verso la pipa, «a me non compete di rimediare alle deficienze della polizia. Se Horner fosse in pericolo mi comporterei altrimenti, ma Ryder non potrà testimoniare contro di lui e l’accusa cadrà automaticamente. Forse, agendo in questo modo, favorisco un colpevole, o forse contribuisco alla redenzione di un ladro occasionale. Non credo che quell’uomo ricadrà nell’errore commesso, era troppo spaventato, terrorizzato addirittura. Mandandolo in prigione oggi se ne potrebbe fare un delinquente per tutta la vita. E poi, siamo nel periodo natalizio, il periodo del perdono per eccellenza. Il caso ci ha offerto un problema veramente singolare e stravagante: l’averlo risolto costituisce di per sé una ricompensa. E ora, mio caro Watson, se volete suonare il campanello, ci dedicheremo a un’altra inchiesta il cui protagonista sarà un gallo cedrone profumato e
rosolato a puntino!»

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@guest

La passione per la lettura può diventare una mania o dobbiamo vederla solo per quella che è cioè voglia di esplorare e ingozzarsi di nuove avventure, di nuove storie, di riempirsi mente e cuore di storie che tu mai potrai vivere, ma lo fai tramite le pagine che hai di fronte e grazie a qualcuno che per te ha messo su foglio la sua fantasia o la sua realtà. Io sono una lettrice.

Sono di quella categoria che quando inizia un libro ho l'ossessione di finirlo prima possibile perchè poi c'è quell'altro romanzo che mi aspetta.. e allora via a leggere in qualsiasi attimo della giornata, mi alzo la mattina e mentre mi vesto mi infilo i pantaloni girando la pagina successiva, ma poi sono costretta ad abbandonare il capitolo perchè devo andare al bagno.. ma è un abbondono breve, giusto il tempo di lavarmi il viso e i denti.. e poi seduta sulla tazza riprendo la storia.. e se non fosse che devo pur uscire di casa per andare a lavorare starei seduta al cesso fino a che non ho finito il libro, ma ovviamente non si può stare a chiappe nude per 10 capitoli interi dai.. quindi a malincuore chiudo, metto la giacca e si va in macchina.. ed inevitabilmente penso che invece di cambiare stazione radio vorrei continuare la storia di quel cavaliere che stava per decapitare il suo rivale.. La giornata lavorativa ha inizio, e metre stai li a cambiare lenzuola in una casa che non è manco tua torna il desiderio di continuare a leggere, perchè devi finirlo ed iniziarne un altro.. c'è l'altro che aspetta di essere letto.. e invece tu stai a perdere tempo a lavorare. Non sai come e neanche perchè arriva finalmente l'ora di tornare a casa, e dentro di te ci sono i fuochi d'artificio perchè puoi stare finalmente sul tuo letto e finire il libro.. ti mancano pochi capitoli e puoi finalmente ricominciarne un altro. Ma dopo qualche pagina accade l'inevitabile, devi smettere di leggere perchè arrivano le nipoti, tua nonna, il cane deve mangiare, devi preparare la cena,devi evitare lo scioglimento dei ghiacciai.. tutto devi fare ma tranne finire quel disgraziato di libro. E allora ti rassegni e lo metti via.. aspettando finalmente la sera, quando nessuno ti scasserà i maroni e potrai finalmente finirlo. La sera arriva per grazia divina e lo finisci quel libro, nonosante siano le due di notte e gli occhi ormai sono diventati come quelli di un allucinato. Ma chi se ne fotte se domani avrai sonno, ti addormenti con il pensiero che domani sarà un altro giorno ma anche un altra storia. E la tua di storia va avanti cosi sempre, ogni giorno. Poi però ci sono quei libri di merda che ti chiedi per quale motivo l'autore è stato pure pagato, e allora si che diventa un ossessione, anche se proprio ti stimola la diarrea quel coso scritto lo devi finire, perchè un libro non si può abbandonare a metà, non si deve fare mai anche se vorresti facassare la testa dell'autore e continui a ripeterti ma che schifo, ma dai finisciti da solo.. e leggi.. a fatica, desiderando anche di essere trafitta da un pugnale perchè non ne puoi pi˘ di quell'oscenità. E sempre per grazia divina arriva il giorno che lo finisci.. e accendi un lumino con la speranza di non ribeccarne un altro.

Ora ripensando a tutto ciò sinceramente mi sto chiedendo se è passione oppure ossessione.. o una lettrice semplicemente stramba.

10 Oct 2019
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