Ma chi me lo fa fare
“Ma chi me lo fa fare?”
Per molte persone non è più soltanto una questione di stanchezza, di usura mentale e fisica.
Tanti non possono permettersi di lasciare lavori sfiancanti con paghe da fame e finiscono col vivere ogni giorno accumulando livore, senso di colpa e sfinimento.
Cresce soprattutto la sensazione che sbattersi dannatamente come matti, lavorare, produrre e consumare correndo dietro al mito della crescita non abbia più alcun senso. Che un incantesimo si sia rotto, e la solita scenografia del reale appaia ora palesemente di cartone, finta, troppo finta, inadatta alla vita.
Le promesse di successo, rivalsa e scalata non attecchiscono più. “Non ce l’abbiamo fatta”, risposta ideale al vecchio “Ce la faremo”, è il motto silenzioso che si diffonde in giro. Sta crescendo veloce un malessere sociale devastante che è già stato notato e verrà presto cavalcato da sovranismi e forze reazionarie.
Eppure è un momento eccezionale per ricostruire a partire da queste macerie che siamo: per imparare a essere comprensivi verso gli altri che vivono nelle stesse condizioni; per riconoscersi simili nel dolore e costruire una coscienza della gigantesca classe di sfruttati. Perché, nonostante le apparenze, abbiamo tutto a portata di mano per poter essere felici.