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AR1: gabinetti lontani

"GABINETTI LONTANI"
"magic moments" nei cessi dei trappers canadesi
bY AGH

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Published in 
andata e ritorno
 · 12 Feb 2022

Jackson Lake (Yukon, Canada 1987)

Esiste un luogo piu' privato, confortevole e intimo del cesso di casa nostra? No. Lo sanno tutti quei viaggiatori che spesso devono confrontarsi con cessi estranei, lontani, alle volte persino ostili.

Noi stavamo in una baita meravigliosa fuori dall'abitato di Whitehorse, alle porte dell'Alaska. Unico problema: non c'era il cesso. Un problema grave.

La nostra capanna era sperduta tra le montagne, e per espletare le consuete esigenze fisiologiche c'era solo uno squallido baracchino esterno. Ci sarebbe stato anche il bosco, e' vero, ma nessuno di noi si sarebbe voluto trovare con le braghe in mano a tu per tu con l'orso Grizzly.

Senza contare che un'improvvisata e precipitosa fuga per l'incontro con il simpatico plantigrado, magari proprio nel Momento Critico, avrebbe avuto tragiche conseguenze sulle nostre funzioni intestinali (leggi stipsi cronica).

Il nostro era un cesso molto spartano, anzi, un cesso da vero trapper. Quattro pareti di legno tenute insieme con quattro chiodi, una porta e una tettoia. All'interno comfort zero, solo la famosa "asse". Sotto l'asse c'era un buco scavato nel terreno profondo un paio di metri, che fungeva da pozzo nero.

L'odore all'interno del baracchino, com'e' intuitivo (ma anche nei dintorni a dir la verita') non era dei piu' balsamici. Ma era pur sempre un cesso al coperto, al riparo da sguardi indiscreti. Il rischio di sguardi indiscreti era in realta' inesistente, perche' lassu' non passava mai nessuno, neanche per sbaglio. Ma sapete com'e' per noi raffinati europei, una volta abituati alle comodita' non c'e' verso di rinunciarvi.

"Evacuare" in tali condizioni era sempre una sgradevole incombenza da sbrigare al piu' presto. Beninteso nel cesso non c'era acqua, ma solo un secchio colmo di terriccio che serviva alla bisogna. Dopo esser faticosamente andati di corpo toccava pure sbadilare per preparare il secchio a quello che veniva dopo.

La cosa piu' fastidiosa e inquietante quando s'entrava nel baracchino pero' era che non si riusciva mai a vedere il fondo del buco, che era tetro e oscuro. Certo non era troppo difficile immaginare che cosa ci fosse la' sotto, ma il fatto di non riuscire a veder nulla era fonte di una certa preoccupazione. E Dio sa quant'e' necessario esser rilassati in "certi momenti".

Forse pero' alla base di tutto c'era il brutto ricordo di una notizia che avevo letto da qualche parte e che mi aveva fortemente impressionato: un tale di Ragusa era stato morso ai genitali da un grosso topo, sbucato diosacome dalla tazza del water...

Ora, l'idea di mettere il mio prezioso sedere (e il resto) sul quel maledetto buco nero senza poter vedere prima che c'era sotto era motivo di grande ansia.

Si doveva "espletare" in uno stato di grande tensione, sempre sul chivala' e pronti a scattare via al primo terrificante morso. Il tragico era che capitava di balzare via ad ogni rumore sospetto, bastava un fruscio inaspettato, uno stormir di foglia...

Bastava il ra-ta-ta-ta' di uno stupido picchio per correre fuori trafelati con le braghe in mano, magari di notte e al buio, col culo nudo e il cuore in gola.

Un particolare curioso: in quel periodo lo stress del cesso da trapper provoco' un sensibile rallentamento delle nostre funzioni corporee...

Poi dicono che i disturbi psicosomatici sono stupidaggini.

by Agh

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