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Il merito è una trappola

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Published in 
Tlon
 · 7 Nov 2022
Il merito è una trappola
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Sono già molte le pessime novità del nuovo governo appena insediato. Giusto qualche minuto fa Anna Maria Bernini, neoMinistra dell’Università e della Ricerca, ha pubblicato il video del suo giuramento con la musica di “T’appartengo” di Ambra Angiolini (“Adesso giura”), salvo poi cancellare tutto.

Ma tra le azioni più simboliche c’è il fatto che al nome “Ministero dell'Istruzione”, affidato questo a Giuseppe Valditara, sia stata aggiunta la dicitura “del Merito”.
“Ministero dell’Istruzione e del Merito”, quindi.

Il fatto è che non c’è nulla di più lontano dall’Istruzione del concetto di “Merito”. L’idea di meritocrazia è considerata oggi logica e razionale, avallata sia da destra che da sinistra, ma genera in realtà un profondo classismo e produce disparità e ingiustizia: basterebbe conoscere al riguardo l’origine della parola “meritocrazia”.

Nel 1958 lo psicologo Michael Young pubblicò la satira distopica “The rise of meritocracy” per mettere per primo in luce la nascita di una società profondamente ingiusta e disumana, fondata sul merito come fonte di competizione.

Il “merito”, scriveva Young nel suo romanzo, è la messa in pratica attraverso l’energia dell’intelligenza, e oggi va costantemente misurato, comparato, potenziato e premiato.
Che male c’è a premiare gli intelligenti?, si dirà.

Bisogna prima capire cosa sia considerata “intelligenza”. Oggi, scrive Young, con questo termine intendiamo “la capacità di aumentare la produzione, direttamente o indirettamente: questa ferrea misura è il criterio con cui la società giudica i suoi membri”.

Nella Scuola del Merito i bambini e i ragazzi sono già al lavoro per aumentare la produttività sociale: non c’è tempo e modo per fiorire, per conoscersi, per imparare ad imparare. Non c’è via per attrezzarsi a ripensare un giorno la società, né per coltivare serenamente i talenti. C’è soltanto una perenne chiamata di massa a contribuire al focolare della Nazione.

Nella scuola del Merito al centro c’è l’idea di “premiare i migliori” - ossia i più produttivi - e punire i peggiori, dimenticando in questo modo il senso profondo, democratico e aperto dell’Istituzione, che non ha come scopo introdurre al lavoro ma preparare alla vita, e che deve prendersi cura degli ultimi quanto e più dei primi.

Non è corretto sfruttare il merito come strumento per creare una voragine tra chi riesce e chi non riesce, tra chi è dotato e chi non lo è, tra chi ce la fa e chi non ce la fa. Fingendo di non sapere, poi, che nella riuscita abbiano un’enorme influenza le condizioni economiche, sociali, culturali di provenienza, e che la meritocrazia è un modo reazionario di garantire il potere a chi ce l’ha già, fingendo un rinnovamento.

La meritocrazia produce disparità economica e crea enormi distanze sociali tra cittadini, svendendo il senso della vita dietro all’ansia della performatività.

Il merito serve a “Spingere l’ambizione a puntare sempre più in alto, e allineare l’ideologia del popolo alle esigenze della nuova era scientifica”.
A correre in massa e sempre più velocemente verso l’abisso che abbiamo scavato.

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